traduzione Roberta Arcelloni
con Corrado Giannetti, Paolo Meloni, Marco Spiga, Maria Grazia Sughi, Luigi Tontoranelli, Valeria Cocco, Mariagrazia Pompei
scene Arianna Caredda
costumi Zaira De Vincentiis
regista assistente Rosalba Ziccheddu
regia Guido De Monticelli
Torna al Teatro Massimo di Cagliari Lupi e pecore di Aleksandr Ostrovskij, capolavoro della drammaturgia russa che già l’anno scorso ha sparso il suo nero e feroce divertimento tra il pubblico, raccogliendo grandi consensi anche fuori dall’isola. Un ritorno che arriva dopo la tournèe sarda che ha toccato le tappe di Sassari Nuoro e Ozieri.
Una pièce divertente – firmata da uno dei padri, accanto a Gogol’, del teatro russo moderno – per un viaggio tra i labirinti della mente e del cuore umano, un vivido e ironico affresco della società dove «tutti vivono per mangiare o essere mangiati» e ciascuno tesse le sue trame e cura i propri interessi, senza farsi troppi scrupoli. Insomma vige la legge del più forte, l’astuzia vince sull’ingenuità e il prepotente sul più debole o timido, in questa commedia di Ostrovskij, definito “lo Shakespeare della classe mercantile russa”, la cui vicenda si ispira ad un vero fatto di cronaca, ovvero il processo contro la badessa del monastero di Serpuchov, e presidente della comunità delle Sorelle della Misericordia, accusata di falso ed estorsione. Traendo spunto da quell’episodio, in cui la badessa giustificava le sue azioni come frutto di un eccesso di zelo benefico, il drammaturgo mette in scena la vita quotidiana in una piccola comunità tra piccole e grandi malversazioni, intrighi, questioni sentimentali e speculazioni economiche, in una giostra in cui «i lupi e le pecore si inseguono scambiandosi vicendevolmente i ruoli».Fotografia della Russia dell’Ottocento – ma anche dell’umanità di oggi e di ieri – questo divertissement dolceamaro vede protagonisti gli attori dello Stabile della Sardegna (Corrado Giannetti, Paolo Meloni, Marco Spiga, Maria Grazia Sughi, Luigi Tontoranelli con Valeria Cocco e Mariagrazia Pompei) e si affida alla scrittura del fondatore del teatro realistico russo per svelare la ferocia e i veri impulsi nascosti sotto l’apparente gentilezza e urbanità di modi. L’ambiguità del bene (o piuttosto il fine che non sempre giustifica i mezzi) muove una vicenda intricata, un groviglio di passioni e pulsioni con un esito a sorpresa: “Lupi e pecore” è in fondo un apologo sulla natura umana, e sull’inevitabile equilibrio che come in natura si crea tra cacciatori e prede, carnefici e vittime – appena temperato dalla morale e dalle leggi – in ogni tempo e in ogni luogo.
Note di regia Lupi e pecore, tra i capolavori di Aleksandr Ostrovskij – padre, insieme a Gogol’ della grande drammaturgia russa – è una commedia nerissima e divertentissima. Ambientata, in un villaggio di provincia, trae la sua vicenda da una cronaca giudiziaria del 1874. Allora la badessa del monastero di Serpuchov e presidente della comunità delle Sorelle della Misericordia venne citata dal tribunale di Mosca con l’accusa di falso ed estorsione. Operando un’infida circonvenzione ai danni di poveri sprovveduti, aveva ottenuto la firma di cambiali in bianco, in cambio di mendaci promesse garantite dal suo alto rango sociale. La badessa si era giustificata dichiarando che ciò che aveva commesso non era per utile personale, ma per sussidiare le istituzioni benefiche alle quali si era dedicata con imperiosa passione, smarrendo ogni cognizione di lecito e illecito.A una tale vicenda si ispira Ostrovskij, immergendola però in una girandola di piccole e grandi malversazioni in cui tutti i personaggi sono implicati, gli uni ai danni degli altri. Tutti o lupi o pecore, e tutti vivono per mangiare o essere mangiati. E i lupi e le pecore si inseguono scambiandosi vicendevolmente i ruoli. E, sembra dirci Ostrovskij, non vi sarebbero i lupi se non prosperassero le pecore. Solo l’arrivo nel villaggio del più evoluto e “per bene” dei personaggi, un intraprendente e affascinante uomo d’affari, in viaggio da Pietroburgo, mette fine a questa infinita spirale. Con un insieme di accorte e rapide mosse che contemplano anche la sistemazione di un paio di affari sentimentali, diviene proprietario dei grandi boschi dei dintorni che di lì a poco moltiplicheranno il loro valore per l’imminente arrivo della linea ferroviaria transiberiana. Poco prima un personaggio del villaggio si era rivolto a un altro dicendogli: «Scusate la domanda indiscreta. Avete mai saputo la differenza fra un’azione buona e una cattiva?» E lui aveva risposto: «Questa è filosofia: noi che ne sappiamo?».
Guido De Monticelli
L’autore
Il drammaturgo Aleksandr Nikolaevič Ostrovskij (1823 – 1886), considerato il fondatore del teatro russo moderno e definito da Turgenev lo “Shakespeare della classe mercantile russa”, con le sue 47 pièces porta sulla scena un nuovo realistico e insieme lucido e ironico sguardo sulla società.
Ostrovskij nasce a Mosca, nel quartiere dellOltremoscova (Zamoskvoreč’e), il quartiere dei mercanti, che sarà poi fulcro del suo teatro, da cui attinge spunti per i primi bozzetti. Intrapresi gli studi giuridici all’Università di Mosca, prima di averli terminati entra nel 1843 in un tribunale di commercio dove rimarrà fino al 1851. Pubblica “Il fallimento”, un frammento di commedia che nel 1849 diventerà “Con quelli di famiglia ci si arrangia. La bancarotta”, apprezzata dalla critica ma colpita dalla censura (preventiva) che vieta la mise en scène del testo. Debutta finalmente in teatro con “La fidanzata povera” e da allora la sua carriera prosegue con nuove commedie, quasi una all’anno, in cui progressivamente i suoi orizzonti si allargano oltre il ceto mercantile. Da un viaggio nel basso Volga su incarico del Granduca Konstantin Nikolaevič, per studiare le condizioni della popolazione, Ostrovskij trae spunto per il suo capolavoro “L’uragano” (1859) e per alcuni drammi storici. Nel 1859 pubblica la prima raccolta delle sue opere e fonda una Società di soccorso ai letterati, con Turgenev, Nekrasov, Maikov e secondo una consuetudine del tempo tiene, con un certo successo, letture in pubblico delle sue commedie.
Dopo il vivido affresco del mondo dei mercanti, e dei piccoli borghesi, artigiani, funzionari e proprietari terrieri a corollario delle sue prime opere e le “cronache drammatiche” di argomento storico, l’ultimo periodo è dedicato alla Russia, di cui fotografa le trasformazioni sociali e culturali, con un’attenzione anche alla condizione femminile.
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