porta in scena la versione teatrale del successo letterario di Francesco Piccolo, e del suo catalogo dell’allegria di vivere.
Il testo è spietatamente comico e, ad un tempo, amaro.
Aprea/Piccolo analizzano con graffiante ironia i tic, le paturnie, i vizi, le banalità dei luoghi comuni, le debolezze, i segreti inconfessabili dell’uomo (in senso lato) e li esorcizza con paradossale umorismo, comicità surreale, nonsense.
Non si può raccontare una trama che non c’è. Non c’è nemmeno un tema che unisca i diversi “siparietti che attingono ad una quotidianità piuttosto banale e sono introdotti con immagini video e canzoni senza alcun apparente nesso logico.
La pièce è un mosaico di situazioni quotidiane e divagazioni non necessariamente edificanti, ma piene di ironia, di irresistibile perfidia, divertimento e stupore.
Per esempio: “Vagare di notte per la città vuota in una particolare e perfetta settimana d’agosto”, “Salire sul treno e sperare di trovare qualcuno al proprio posto”, “Accompagnare al bancomat qualcuno che si conosce da una vita e non sentirsi obbligati a fare un passo indietro”, “Quando quelli che ti salutano con i bacini ti danno davvero dei bacini con le labbra umide, sono molto abile a individuare il momento giusto in cui non mi guardano per passare il dorso della mano sulla guancia nel punto dove mi sembra di sentire l’umido”.
“Momenti di trascurabile felicità” è l’elogio, a volte crudele, del relativismo dei sentimenti, dei moti dell’anima. Sono le piccole impercettibili trascurabili felicità che nascono da comunissime situazioni elaborate dal soggetto in chiave irrazionale o nevrotica. E in questa epifania della paranoia e delle paturnie noi tutti ci riconosciamo e ci guardiamo in quello specchio che vogliamo credere deformato.
Anche la recitazione incespicante di Aprea è funzionale alla nevrosi dei personaggi rappresentati.
Ottima la regia dello stesso Valerio Aprea che si avvale delle luci gestite dal bravo Luca Barbati.