“Moralità? La moralità italiana consiste tutta nel censurare”. Nelle parole di Alessandro Bonivaglia, indolente, ma intelligente intellettuale che frequenta con una certa regolarità casa Platania, si ravvede l’alter ego di Vitaliano Brancati, autore del dramma teatrale La governante in scena al Teatro Quirino di Roma fino al 28 aprile.
E la censura è tristemente e intrinsecamente legata a La governante che nel 1952 fu interdetta dalle scene (per 15 anni) dalla censura italiana perché “contraria alla morale” a causa della sua azione di critica nei confronti del perbenismo borghese e dell’intolleranza. Decisamente troppo per non dare fastidio, per non irritare. Adesso, in occasione del sessantesimo anniversario della pubblicazione de La governante, Lo Stabile di Catania ne ripropone un nuovo, sottile allestimento diretto da Maurizio Scaparro.
Quando si apre il sipario, su un ricco interno borghese degli Anni Cinquanta, Leopoldo Platanìa (un grande Pippo Pattavina) parla al telefono e spiega di essere una persona diversa rispetto al passato, di essersi lasciato alle spalle l’intransigenza legata alla sua terra d’origine, la Sicilia. Ma anche a Roma (il Cupolone di San Pietro incombe per tutta l’opera) Leopoldo si scopre via via la persona di una volta, che incarna suo malgrado i limiti di una società maschilista e retrograda e di un’Italia ipocrita e benpensante.
Intorno a lui gravitano il figlio Enrico (Giovanni Guardiano) un dongiovanni che tradisce di continuo la moglie, ma che lui giustifica (d’altra parte è un uomo), la nuora Elena (Veronica Gentili) svampita dalle forme prorompenti e non troppo sveglia che dà troppa confidenza a tutti suscitando la riprovazione di Leopoldo, Jana (Chiara Seminara), una domestica siciliana analfabeta sinceramente affezionata alla famiglia Platania, l’indolente intellettuale Alessandro Bonivaglia (un convincente e audace Max Malatesta) e Caterina Lehar. È lei, la governante (una misuratissima Giovanna Di Rauso nel ruolo della coprotagonista) il deus ex machina della tragica vicenda: calvinista, molto colta, perbene, saggia, intelligente, tollerante, irreprensibile, sa attirarsi le simpatie della casa diventando ben presto la coscienza critica della famiglia.
Fra Caterina e Leopoldo si stabilisce un legame speciale basato sulla fiducia, ma anche dal fatto che sono intrinsecamente legati da un pesante fardello; Leopoldo espia il suicidio della giovane figlia che si è consumato 25 anni prima a causa della sua intransigenza. Caterina è omosessuale e vive il suo orientamento sessuale come una colpa da espiare, come qualcosa di cui vergognarsi. E sarà lei a diventare una vera e propria carnefice, autrice di un meccanismo che prende il via da una calunnia che avrà conseguenze inaspettate non solo per la povera Jana, ma per tutti.
Scaparro ha realizzato uno spettacolo molto attento ai particolari (con i curatissimi costumi di Santuzza Calì anche scenografa), il dialetto, la pronuncia spiccatamente siciliana, uno spaccato dell’Italia degli Anni Cinquanta, che si mantiene un tono sagaci e sottilmente tragici fino al dramma finale, a tratti parodistici, tenendo sul filo del rasoio il pubblico, proponendosi come una sorta di thriller psicologico, morale e sociale. Un paio di scene, importanti punti di snodo, risultano davvero ammirevoli (il licenziamento, drammaticissimo della povera serva, la dinamica tra il gioco di sguardi fra lo scrittore, la domestica e la governante quando si capisce realmente tutto).
Non facile poi giocare con i tempi della pièce (oltre due ore e mezza): lo spettacolo invece scorre placidamente e mentre sembra che nulla accada, in realtà tutto si muove, la tensione emotiva cresce gradualmente, via via che il “mistero” si svela. Certo, oggi possono sembrare tematiche che non scandalizzano come 60 anni fa, ma pregio dello spettacolo, oltre a un validissimo cast, è anche quello di aver ricreato efficacemente uno spaccato dell’Italia connotato da una certa intransigenza e da una certa ottusità morale che anche adesso (nonostante la società odierna ci abbia abituati a ben altri scandali) non sembrano essere del tutto seppellite.
Un spettacolo da vedere anche per cogliere l’occasione di ammirare in scena un testo poco frequentato. In scena fino al 28 aprile.