R.O.F. 2013
Pesaro Adriatic Arena
Una sinfonia di cinque ore con arie di bravura e due grandi coprotagonisti: l’orchestra e il coro
(11 agosto 2013, prima)
Sul sipario rosso e bianco giganteggia un pugno chiuso. L’orchestra comunica una sensibilità penetrante fin dalla Sinfonia, che inizia in pianissimo con gli archi, cui si aggiungono le voci isolate dei fiati, poi esplode in un fortissimo tutto orchestrale, agitato e ghignante, per tornare alla calma cosmica col noto tema con flauto che fa pensare al sorger del giorno e per riaprire la via al trionfo delle trombe e alla cavalcata degli archi e del tutto orchestrale. Ovazione.
Il direttore è Michele Mariotti, preciso ad ogni nota e attentissimo alle esigenze del canto nel dirigere la brava Orchestra del Teatro Comunale di Bologna. Una lettura personale di una partitura divina, interiorizzata capillarmente e comunicata all’orchestra con gli occhi, col corpo e col gesto sicuro, si concretizza nelle sonorità mai debordanti, nel nitore del suono e nella trasparenza dei colori, sì che le cinque ore di musica sono state percepite come un’immensa e sublime sinfonia.
Purtroppo le danze scomposte e rumorose del Divertissement, cui è riservato un lungo spazio (coreografie di Ron Howell), contrastano con la raffinatezza di una musica rifinita e trascinante, eseguita da un’orchestra fantastica.
Il coro quasi sempre presente contribuisce all’eleganza delle immagini e la sua compattezza scenica dà l’idea di solidità. Gli sono riservate pagine morbide e cullanti che il Coro del Teatro Comunale di Bologna, preparato dal M° Andrea Faidutti, interpreta con possente lirismo e con sonorità impressionanti. Disposto su due piani, le donne in piedi sul balcone e gli uomini seduti in basso, canta con magnificenza vocale le choeur de Suisses “Hyménée, Ta journée”, mentre dei ballerini si dimenano e una coppia simula le nozze. Il canto è morbido e melodioso, l’orchestra a tempo di danza completa un’atmosfera pregnante.
Ottima la scansione della parola nella grande pagina corale “Enfants de la nature” con un coro euforico e in parte saltellante e un’orchestra osannante. La suggestione del canto a mezza voce arriva dal choeur de Pâtres “Au sein de l’onde” all’inizio del II atto, cantato fuori campo, coi rintocchi delle campane e un delicato accompagnamento dell’arpa. Il canto è sommesso e cadenzato e accompagnato dal corno nel Choeur d’Habitants d’Hunterwald “Nous avons su braver”.
Con Guillaume Tell Nicola Alaimo aggiunge un personaggio importante alla sua nutrita lista. La sua bella voce scura, ampia e imponente, ben si adatta a questo ruolo genitoriale e alla fierezza dell’eroe svizzero, la nobiltà del fraseggio e il modo di porgere morbido e disteso impreziosiscono l’aria “Sois immobile”, aperta dal violoncello. Sentimenti ed emozioni trapelano dal suo canto, perché tecnica e interpretazione non sono mai disgiunte.
Il duetto con Arnold (“Où vas-tu?”) è l’incontro di due titani sorretti da una magnifica orchestra: l’autorevolezza vocale di Alaimo si scontra con lo scintillio del timbro di Florez che svetta in sovracuti (“Ah! Mathilde, idole de mon âme”), canta col fil di voce (“Mon père…mon pays…”), dà piglio eroico a un canto morbido ma deciso (“Ô ciel! Tu sais si Mathilde”).
Juan Diego Florez (Arnold, ruolo debuttato anche da Mario Tiberini al Teatro Regio di Torino nel 1860, insieme a sua moglie Angiolina Ortolani nel ruolo di Matilde) si lancia e ammorbidisce con accento ora forte ora dolce, grazie ad una vocalità che arriva ovunque e ad una tecnica d’emissione assolutamente perfetta.
Canta con sentimento e con enfasi “Il me parle d’hymen!”.
Sognante è il lungo duetto con Mathilde (“Ma présence pour vous est peut-être un outrage”), con musica carezzevole e le voci del corno e del clarino.
Nel bellissimo terzetto con Tell e Walter (“Quand l’Helvétie est un champ de supplices”) scenicamente statico, Florez è fantastico perché tra slanci e pianissimi lascia trapelare sentimento nelle lunghe frasi che si sciolgono in acuto, mentre le due voci gravi fanno da supporto col colore e la morbidezza del suono, e quando sbucano i suoi sovracuti scatta l’ovazione del pubblico. Con dizione chiara affronta il recitativo “Ne m’abandonne point”, accompagnato da una musica che ricorda l’introduzione musicale dell’incontro di Violetta con Germont padre (“Madamigella Valery”) e canta l’aria più famosa “Asile héréditaire” con grande afflato, voce piena e distesa e tenuta del suono, dolcezza nelle mezze voci e graduali progressioni acute. Funambolico nei sovracuti e nelle puntature più irte (tipo Fille du régiment) della cabaletta “Amis, amis, secondez ma vengeance”, dove esce la vena eroica di Arnold, Florez si riconferma campione del canto di coloratura e di bravura.
Il soprano Marina Rebeka (Mathilde) produce belle arcate acute che smorza e fila con la messa di voce, dà melodia ai trilli, ma gonfia i suoni medi per ingrossare la voce e i gravi sono poco naturali. La voce è bella e fredda, va più alle orecchie che al cuore.
Nel Recitativo e Aria dolcissimi con musica di sostegno “Ils s’éloignent enfin…Sombre fôret” canta di forza ma sa anche ammorbidire, elle a une voix aiguë (nel duplice senso di acuta e aguzza, perché i suoni sono taglienti), ma fa belle scale cromatiche discendenti e dissolvenze in acuto.
Pur avendo una voce apprezzabile, il tenore Celso Albelo non mi è sembrato a suo agio nella non facile parte del pescatore Ruodi.
Amanda Forsythe (Jemmy) dopo qualche strilletto iniziale, entra nella parte del figlio di Tell con proprietà scenica e vocale, esibisce suono limpido e pulito, acuti pieni con sovracuti e assottigliamenti, buoni filati e scale cromatiche discendenti (lunga aria “Ah, que ton âme se rassure”).
Simone Alberghini (Melcthal) presenta voce ampia e vibrante dal bel colore scuro, Luca Tittoto (Gesler, gouverneur Suisse) usa con irruenza una gran voce dal suono pieno, bravo attore, balla, fuma e fa il viveur.
Wojtek Gierlach (Leuthold e un chasseur) è un basso dal bel timbro, il canto è in maschera ma un po’ tirato (“Mon devoir…”).
Simon Orfila (Walter Furst) è un basso autoritario con bella voce e pienezza del suono.
Veronica Simeoni (Hedwige) esibisce voce intensa nel dialogo con Mathilde, sonora e ben proiettata, ma i suoni sono chiusi nei centri nel terzetto con Mathilde e Jemmy “Je rends à votre amour”.
Alessandro Luciano è Rodolphe.
La regia è di Graham Vick.
Tra gruppi di rivoltosi col pugno chiuso e fazzoletto rosso al collo o in mano, lo sventolio di alcune bandiere rosse, un set cinematografico o televisivo, una barca nel lago di montagna, una scuderia di cavalli prima ritti poi ribaltati e uno decapitato, chiazze di sangue sui muri, persone che fumano, una gigantesca scala rossa che scende nel finale, non è che abbia visto tanta natura svizzera e tanta attinenza con la storia descritta dal libretto, dal quale sono stati comunque estrapolati gli ideali di libertà e di affrancamento dal potere.
Il periodo storico che Vick porta in scena è quello del primo novecento e il tema è la contrapposizione tra borghesia e mondo operaio.
L’insieme comunque è gradevole all’occhio sia per la nitidezza dei colori, sia per l’eleganza delle scene e dei costumi, sia per alcune idee geniali, come quella di aprire le pareti su ambienti retrostanti per mostrare scene di interni in contemporanea, ambienti dai quali le persone si spostano per entrare in palcoscenico o come quella di calare una grande scala rossa nel cuore di una scena bianca alla fine dell’opera, come elemento liberatorio e di fuga. C’è una certa crudezza, nel finale primo i militari infieriscono contro Melcthal e lo appendono ad un gancio. Suggestive le immagini riflesse, artistica la disposizione delle masse, belle le figure in controluce. Le scene essenziali e pulite di Paul Brown prediligono il colore bianco e la geometricità delle linee e i suoi costumi sono belli e accurati, soprattutto quelli degli austriaci più ricchi e quelli elegantissimi di Mathilde. Le luci sono di Giuseppe di Iorio.