di Luis Garcìa-Araus e Javier Garcìa Yague
con Mattia Fabris, Stefano Orlandi, Maria Pilar Peréz Aspa, Matilde Facheris, Chiara Stoppa, Sandra Zoccolan
regia di Serena Sinigaglia / scene Maria Spazzi / costumi Federica Ponissi / luci Sarah Chiarcos e Alessandro Verazzi
produzione Compagnia ATIR
Gennaio 2007. Cuarta Pared, una piccola compagnia teatrale spagnola debutta a Madrid con uno spettacolo dal titolo: “Ribellioni possibili”. È un successo inaspettato. Di quei successi che ti accadono quando cogli in pieno un bisogno profondo e reale della gente. Replicano a lungo. Pochi mesi dopo, mentre ancora in teatro si replica, esplode la bolla immobiliare, la crisi si abbatte inesorabile su occupazione e redditi. Due anni dopo, la situazione precipita. Gli spagnoli reagiscono e si riversano a centinaia per le strade. Tutti diretti alla Plaza del Sol. È il 15 Maggio 2011. Nasce il movimento degli “indignados”. E almeno per un momento sembra che le “ribellioni possibili” stiano accadendo sul serio.
“Ribellioni possibili” racconta la storia di Josè Garcìa (che sarebbe come a dire il nostro Mario Rossi). Un uomo qualunque che un giorno decide di fare causa ad una potente compagnia telefonica per soli 28 centesimi. Il gesto di Garcìa è contagioso, provoca un vero e proprio effetto domino: il mondo si riempie di Garcìa, che, pacificamente e allegramente, si ribellano al sistema.
Il testo di Luis Garcìa-Araus e Javier Garcìa-Yague (si chiamano entrambi Garcìa, buffo, no?) mi ha da subito contagiata. Da tempo cercavo parole per raccontare la crisi. Finalmente le avevo trovate. Un primo capitolo a cui ne segue un secondo: un testo scritto ad hoc da Edoardo Erba, “Italia anni dieci”, una sorta di risposta italiana al contagioso testo spagnolo. La crisi attuale è un argomento che richiede e merita riflessioni attente e approfondite. “Ribellioni possibili” è dunque l’inizio di un percorso più lungo, che non può e non vuole esaurirsi in un solo spettacolo.
“Ribellioni possibili” è una favola tragicomica, molto, molto spagnola. Sembra un film di Almodovar, dove l’impossibile sembra possibile, dove l’assurdo è realtà, e gli eroi sono tutti un po’ mezzi matti, teneri e poetici. È un testo allegro, vitale e divertente. Un testo che ti permette di giocare con l’immaginazione e la creatività. Mi sono divertita con la scenografa e la costumista a creare un contesto scenico dove gli attori potessero a loro volta giocare di fantasia e immaginazione. Si comincia in una sorta di discarica piena di oggetti distrutti, macerie di un mondo che stiamo contribuendo a distruggere coi nostri sprechi e consumi. Nel corso dell’azione i personaggi sistemano e “riaggiustano” questi oggetti, facendoli “galleggiare” in aria fino a farli sparire del tutto.
Sei attori interpretano più ruoli. Ognuno di loro, infatti, incarna uno dei protagonisti e uno o più “maschere”.
I protagonisti. Carmen è una giovane donna laureata in filosofia che fa la schiava in un ufficio. Vive a turno da uno dei suoi amici, perchè il tetto di casa sua è crollato e non si riesce a capire chi debba pagare i lavori. Luis, un uomo che prende ansiolitici e psicofarmaci, vuole disperatamente apostatare ma non ci riesce. Petra, vedova (il marito è uno dei tanti piccoli imprenditori uccisi dalla crisi), non riesce a far curare la figlia anoressica. I medici sottovalutano il caso. Non l’ascoltano. Ana, adolescente inquieta, figlia di Petra, non vuole curarsi. Odia tutto e tutti. Odia l’inferno di cui si sente circondata. Julia, la moglie di Garcìa, vorrebbe avere quel riconoscimento professionale che merita e che non le viene riconosciuto.
Non arrendersi, è la risposta del gesto di Garcìa, fin dalle cose più piccole. Perché se accetti un furto di 28 centesimi, finisci senz’altro per accettare molto di peggio. I nostri protagonisti allora ricominciano a lottare, tra capi che li tiranneggiano, avvocati che gli dissanguano il portafogli, dottori che non li visitano, presentatrici che li e si umiliano, tutte maschere grottesche che di umano non hanno più nulla. Le “maschere”. Le maschere che indossiamo ogni giorno per adempiere al ruolo che la società ci impone ci portano a comportarci come mostri, a perpetuare un meccanismo tragicomico di violenza verso gli altri e verso noi stessi. Ribellarsi ai ruoli, riscoprirsi uomini, ecco l’altro punto da cui partire. E poi non smettere mai di credere che ne valga la pena. Perché se è vero, come dice Ana, che “credo nell’inferno perché questo mondo me l’ha mostrato”, credo anche che dall’inferno si possa uscire.
“García appartiene alla vita reale. Abbiamo saputo di qualcuno come “il nostro García” grazie ad una notizia su un giornale. Non sappiamo come si chiama. Sappiamo che ha vinto la causa e che Telefonica è stata condannata a ridare 28 centesimi a tutti i suoi clienti, per una cifra complessiva di centinaia di milioni di euro.”
Serena Sinigaglia
INFORMAZIONI:
Da giovedì 10 a domenica 13, da giovedì 17 a sabato 19 e da giovedì 24 a domenica 27 ottobre
Da giovedì a sabato ore 20.45 / domenica ore 16.00
(escluso domenica 20 ottobre, riposo)
Biglietti 15 / 12 euro
Teatro Ringhiera
Piazza Fabio Chiesa, via Boifava 17 – Milano