Emozioni, musica, luci ed ombre. Sono molti i modi di coniugare il teatro laddove esso si presenta senza parole, nella sua forma forse più ludica e spettacolare: danza e teatro-danza, nouveau cirque, il mimo, il corpo spinto fino alla sua massima fisicità ed espressività. Teatro allo stato puro, infatti, in cui i gesti sostituiscono le parole ed è il corpo a parlare, in tutta la sua forza come in tutta la sua eleganza. Fra le molte novità del cartellone 2013-14 del Teatro Manzoni di Milano spicca una rassegna dedicata al “movimento”, che ospita il meglio del panorama internazionale dedicato alla recitazione e alla creatività senza parole, dal teatro-danza al nouveau cirque.
La nuova rassegna si apre con una produzione che non è fuori luogo definire straordinaria: “BLAM! La rivoluzione parte dal tuo ufficio!”, della compagnia danese Neander Teater, è uno spettacolo di teatro fisico dal ritmo travolgente, che ha letteralmente spopolato all’ultima edizione del Festival di Edimburgo. In scena, quattro artisti dalla mimica esilarante che ci illustrano come la monotona e grigia vita d’ufficio possa trasformarsi in un luogo in cui avventura, poesia e comicità possano prevalere, in una girandola di situazioni ironiche e paradossali. Al confine tra teatro fisico, mimo, parodia, danza urbana, teatro non verbale, questo spettacolo totale, autentica rivelazione della scorsa stagione in Danimarca, ha vinto il più prestigioso premio teatrale nazionale, il Premio Reumert, ed è stato subito opzionato dai più importanti festival teatrali europei.
Se BLAM! è uno spettacolare condensato di energia e di azione, “Blind Date”, coreografato dalla taiwanese Mei-hong Lin, per lo splendido Tanztheater des Staatstheaters Darmstadt, è momento intrigante di poesia e rilettura dell’attualità, realizzato con un superbo impatto scenico. Mei-hong Lin, allieva prediletta di Pina Bausch, getta infatti uno sguardo acuto e raffinato sui nuovi tipi di relazioni umane e sentimentali che si affermano nell’epoca di Internet: “Blind Date” ci parla della ricerca del partner ideale, un sogno che spinge gli esseri umani da tempo immemorabile. Come si arriva al “blind date”, all’appuntamento “al buio”? Che cosa è un flirt? Quali segnali e quali strategie fanno la differenza quando uomini e donne si corteggiano? Come si passa dalla prima impressione alla speranza della felicità del grande amore? La iniziale comunicazione non verbale nel corteggiamento tra i due sessi e la ricerca del vero amore diventano per Mei-hong Lin il materiale ideale per un vivace e frenetico momento di teatro-danza.
Lo strepitoso corpo di ballo di Victor Ullate, assente da molti anni da Milano, ci porta invece ai vertici della grande danza internazionale. Ogni performance di questo celebrato coreografo merita di essere seguita, vista e apprezzata: ancora di più se, come si preannuncia, egli intende presentare, fra l’altro, una sua personalissima lettura del Bolerodi Ravel: vale la pena di ricordare che Ullate è stato uno dei prediletti allievi, discepoli e danzatori di Maurice Béjart, autore d unia leggendaria, monumentale coreografia proprio del Bolero. Dall’artista spagnolo è lecito aspettarsi una spettacolarità lirica, coniugata ad un virtuosismo tecnico quasi insuperabile. Cosa accadrà, dunque, in questa nuova creazione che comprenderà anche Après toi e Jaleos, in questo incrocio di ricordi personali, memorie artistiche, sofisticati connubi fra Francia e Spagna, fra plasticità scultorea e ineffabile poesia?
La rassegna presenta anche due apprezzatissime compagnie italiane, oggi sicuramente fra le più acclamate all’estero: la Imperfect Dancers Company, che con la coreografia di Walter Matteini rilegge in modo originalissimo “Madama Butterfly” di Giacomo Puccini. In “Madame Butterfly’s son”, spiega lo stesso Matteini, abbiamo cercato tra le “note” cosa ci potesse permettere di dare un seguito, coerente, alla storia di Butterfly. Il figlio: questa poteva forse essere la chiave di ri-lettura dell’opera. Cosa sarebbe successo se non fosse nato? E cosa invece è stato di lui dopo che è stato strappato alla madre e portato in America? Rivivere la storia di Cio Cio San attraverso di lui, nato in Giappone e cresciuto in America, diventava una sfida entusiasmante oltre che un affascinante cammino nel pensiero di due culture lontane e diverse.
Ancora una rilettura affascinante con Spellbound Contemporary Ballet, che con la coreografia affascinante e sontuosa di Mauro Astolfi affronta un caposaldo della musica barocca, le vivaldiane Quattro Stagioni, con la collaborazione del compositore Luca Salvadori: le mitiche pagine musicali del Prete Rosso vengono attraversate da cinguettii, scrosci di pioggia, tuoni, dallo scorrere di fenomeni naturali, ulteriormente amalgamati e fusi con rumori e suoni elettronici che creano originalissime atmosfere. Su tale partitura Astolfi ha creato una coreografia che focalizza l’interesse attorno ad un unico elemento scenico: un grande cubo mobile che, come un asse di rotazione, rovesciato di volta in volta nei suoi lati, si rivelerà una casa stilizzata. È il corpo, nella sua complessa interiorità, concepito come dimora, e la pelle come le pareti del nostro mondo. Astolfi crea un affascinante gioco di echi e di continui rimandi tra gli stati d’animo dei danzatori che si muovono dentro le pareti, e l’esterno, la superficie, di esse.
Nella nuova rassegna del Teatro Manzoni una particolare attenzione va al linguaggio corporeo in tutte le sue forme, come il mondo intimamente poetico, deliziosamente irreale e surreale della Familie Flöz. Il gruppo tedesco, fondato nel ’94, è riconosciuto ormai per le sue performance visive in cui gli attori fanno vivere i loro personaggi dietro maschere, superando ogni convenzione linguistica. Un teatro fatto di silenzio e di movimenti, che punta sull’esasperazione della mimica, degli aspetti visivi e acustici, che si può gustare pienamente solo dal vivo, cogliendo il nesso univoco fra la gestualità dell’interplay ed il percorso narrativo che viene generato. “Hotel Paradiso”, che si svolge in un cadente e misterioso albergo tirolese, vanta una trama quasi “thriller”, in cui si susseguono situazioni e gag in cui la realtà sconfina sempre nell’onirico e una materialità ironica si alterna alla più sublime poesia; cambi di registro, sfumati o repentini, che sono una peculiarità costante dello stile dei Flöz. Tanto che all’Hotel Paradiso, fra il gelo dei ghiacciai, fra sensi di colpa, protagonismi esasperati, rivalità ed omicidi, reali o presunti, può perfino sbocciare inaspettatamente il fiore dell’amore.
Non meno magico e incantatorio è il mondo del Black Light Theatre di Praga, il celebre teatro fatto di luce nera, teatro dove veramente tutto è, o forse sembra, magia, questo teatro fatto di niente e di tutto, di movimenti che si concretizzano dal nulla in vorticose scie luminose, di oggetti che appaiono e scompaiono, come accesi da un interruttore, nei luoghi più impensati, di personaggi che sembrano scomporsi e ricomporsi come fatti di luce e non di carne ed ossa. Spettacolarità e poesia in un’antologia che, grazie al sapiente uso del buio e della luce ultravioletta crea un universo altro, parallelo, un’ulteriore dimensione in cui si vive di miracoli, di possibili impossibilità, di sfide al senso comune, alle leggi di gravità, con un inarrestabile flusso di idee che avvincono lo spettatore di qualsiasi età in un sogno forse fatato. O forse no, laddove realtà e fantasia si scambiano incessantemente i ruoli.
Con il nouveau cirque di Okidok il cartellone si permette una pausa, affidata alla capacità di sorridere e di fare sorridere con arguzia disinibita: Okidok è un duo belga i cui spettacoli, di straordinaria efficacia espressiva e di tagliente umorismo, rileggono, con intelligenza acuta e sofisticazione non disgiunta da una trascinante spettacolarità, l’intera storia della clownerie. Irriverenti, mordaci, stralunati, atletici e capaci di una mimica fisica che sembra sfidare le leggi della gravità e i limiti del corpo umano, Xavier Bouvier e Benoît Devos sono stati giustamente definiti “le foie gras du mime”. Lo spettacolo di Okidok, “Slips Inside”, è, infatti, senza parole, ed è, indiscutibilmente, un capolavoro, attentamente pensato e provato, di comunicazione non verbale, in cui anche la più esilarante e snodata acrobazia non è mai fine a se stessa ma concorre a creare un insieme di gestualità che hanno talvolta più peso delle parole. Ballerini, commedianti, mimi, prestigiatori, equilibristi, rumoristi, strumentisti, cascatori: troppe parole, in uno spettacolo senza parole, ci vorrebbero per definire con accuratezza il duo di Okidok. Ma il risultato è uno solo: il pubblico rimane volenteroso prigioniero di una trama comica sul filo della più gioiosa spudoratezza.