drammaturgia Federico Bellini e Antonio Latella
con Francesco Manetti
regia Antonio Latella
elementi scenici e costumi Graziella Pepe
luci Simone De Angelis
assistente alla regia Francesca Giolivo
fonico Giuseppe Stellato
organizzazione Brunella Giolivo
management Michele Mele
un ringraziamento speciale a Manetti Italia
Presentato da stabile mobile compagnia Antonio Latella
in coproduzione con Centrale Fies
in collaborazione con KanterStrasse/Valdarno Culture
durata 90’ circa, senza intervallo
Eccezion fatta per un piccolo manichino da pittore e un paio di secchi, la scena è completamente vuota. Proprio da quel vuoto prende vita e si sviluppa A.H. uno spettacolo di Federico Bellini e Antonio Latella, che sarà in scena, da giovedì 14 novembre 2013 alle ore 21.30 (repliche fino a domenica 17) al Teatro Nuovo di Napoli.
Un titolo solo apparentemente incomprensibile, che immediatamente svela l’identità di chi, nel Novecento, ha incarnato l’emblema del male, Adolf Hitler.
Diretto da Antonio Latella e interpretato da Francesco Manetti, A.H. parte dalla figura di Adolf Hitler, per spostare l’attenzione da una delle maschere dell’orrore umano novecentesco ad una riflessione intima e del tutto personale sul tema del Male.
Prodotto da stabile mobile compagnia Antonio Latella con Centrale Fies, in collaborazione con KanterStrasse/Valdarno Culture, l’allestimento è figlio di un percorso artistico che il drammaturgo e regista compie sulla menzogna, attraverso il quale ricerca le radici del male.
Un solo attore in scena, dunque, che offre, in un monologo di novanta minuti, una vera e propria lezione di teatro, in cui la parola s’incarna in azione che evoca mondi: un flusso emozionale che diviene corpo, sacrificio, materia teatrale contro la menzogna, a discapito del discorso e delle immagini.
Dalle labbra del protagonista “nascono” le parole che danno il via alla vita, mentre dal suo corpo le armi, che a quella stessa vita mettono fine.
L’attore non imita, non interpreta, non recita il Fuhrer, ma incarna lo stesso concetto di male. Collaboratore di lunga data della compagnia, di cui ha curato il training a partire da Hamlet’s Portaits, Manetti utilizza la propria esperienza sul movimento come codice di partenza per una partitura drammaturgica sul corpo, che diventa la cifra della performance.
«Non è nostra intenzione – così Latella in una nota – mettere in scena la figura di Adolf Hitler, non vogliamo cucire una divisa e farla indossare ad un attore per portarlo a recitare, a interpretare, a personificare o più probabilmente a scimmiottare Hitler. Sarebbe una pazzia e un fallimento di intenti, una mancanza di gusto e altro ancora. Ci interessa, invece, intraprendere una riflessione sul male, domandandoci non solo come sconfiggerlo ma soprattutto perché nasce»
A.H. è un lavoro sulla centralità dell’attore in scena, che s’inscrive nel più ampio percorso di ricerca del regista sul tema della menzogna e che sbocca in altri due spettacoli: Die Wohlgesinnten (prodotto da Schauspielhaus Wien in collaborazione con stabilemobile – compagnia Antonio Latella) che ha già debuttato il mese scorso, e Il servitore di due padroni (produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro Stabile del Veneto, Fondazione Teatro Metastasio di Prato), che debutterà il prossimo 21 novembre al Teatro Bonci Cesena.
Gli elementi scenici e i costumi dell’allestimento sono a cura di Graziella Pepe, leluci di Simone De Angelis.
Napoli, Teatro Nuovo
Inizio delle rappresentazioni ore 21.00 (feriali), ore 18.30 (domenica)
Info e prenotazioni al numero 0814976267email botteghino@teatronuovonapoli.it
“E se invece di mettere i baffi alla Gioconda li togliessimo a Hitler?”.
Questa domanda non vuole essere una provocazione ma è, nella sua assurdità, il punto interrogativo da cui partiamo. Volgere lo sguardo da quel quadratino peloso, quella mosca sotto al naso, maschera dell’orrore di tutto il ‘900, a qualcosa di interiore, di terribilmente intimo, umano.
Non è nostra intenzione mettere in scena la figura di Adolf Hitler, non vogliamo cucire una divisa e farla indossare ad un attore per portarlo a recitare, a interpretare, a personificare o più probabilmente a scimmiottare Hitler. Sarebbe una pazzia e un fallimento di intenti, una mancanza di gusto e altro ancora.
Ci interessa, invece, intraprendere una riflessione sul male. Esiste il male? Certo, per esempio il cancro, un male terribile di cui tutti abbiamo paura perché uccide e non guarda in faccia a nessuno (ricco, povero, famoso, buono, cattivo, santo, peccatore, re, operaio, papa o laico…).
Di fronte a un simile male, la domanda non è solo “come sconfiggerlo?” ma soprattutto “perché nasce?”.
Partiamo da questo interrogativo per confrontarci con il cancro che ha colpito l’Europa, l’ha infettata, mutata, devastata, uccisa; è entrato nei cuori e nelle menti e si è trasformato in pensiero, in politica, si è mascherato da ragione, da bene ed ha sterminato senza nessuna pietà, come un angelo vendicatore. Poi un giorno, dopo anni di guerra, il male è stato sconfitto: il cancro e le sue metastasi sono state vinte, un coro di voci ha gridato alla vittoria e abbiamo ricominciato a vivere, a ricostruire e, anche, a dimenticare. Hitler è stato distrutto e sconfitto ma come tutti i grandi mali non è stato ucciso, si è ucciso per non morire, per custodire l’orrendo segreto della sua nascita. Come è stato possibile che il cancro Hitler sia entrato nel cuore di milioni di persone? Come è stato possibile che queste persone abbiano creduto in lui e si siano messe la mosca sotto al naso?
Questo progetto di stabilemobile, legato ad un percorso artistico sulla menzogna, nasce dal bisogno di riflettere intorno ad una semplice e terribile domanda: “c’è Hitler nel mio cuore?” A questo scopo abbiamo scelto una modalità di lavoro slegata dai tempi di produzione, una modalità molto intima fatta di discussioni continue che porteranno ad una drammaturgia di messinscena o, come auspico, ad una drammaturgia costruita sul corpo, un corpo a corpo con gli spettatori.
A Francesco Manetti, compagno di tante avventure, l’arduo compito di condurre i giochi, a Federico Bellini il compito di non essere un drammaturgo, a me quello di non allestire uno spettacolo ma di creare i presupposti affinché il pubblico possa inficiare sull’andamento della serata.
Antonio Latella