La stagione teatrale della Pergola rappresenta, spettacolo dopo spettacolo, un appuntamento davvero imperdibile nel panorama culturale fiorentino.
Dal 19 fino al 24 novembre va in scena “Giocando con Orlando”, una rivisitazione dell’Orlando Furioso curata da Marco Baliani.
Il testo dell’Ariosto sembra acquisire nuova linfa, appare addirittura “svecchiato” dall’ambiziosa operazione condotta dal regista piemontese (Baliani) che, attraverso un inedito taglio comico, ha riscosso ampiamente il consenso dei tanti giovani presenti in sala.
Questa ludica impresa, che non banalizza certo il capolavoro ariostesco ma aiuta ad orientarsi nella complessa e fitta trama di un’opera in cui si intersecano numerosi fili narrativi, è abilmente compiuta da Stefano Accorsi e Marco Baliani.
I due attori, senza l’ausilio di alcuna scintillante armatura né di torri svettanti sulla scena ma con la sola potenza dei versi del poema e la forza dell’immaginazione, riescono ad evocare magicamente l’età carolingia in cui Orlando ed altri paladini combattevano a difesa della propria fede.
Vecchie scatole dominano un palcoscenico su cui si muovono freneticamente, emulando con le loro voci nitriti di cavalli, scalpitio di zoccoli ed ogni genere di rumori, il bellissimo Accorsi ed il regista Baliani.
L’affascinante attore bolognese è la voce narrante del poema e incarna, di volta in volta, numerosi personaggi, interrotto frequentemente dalle incursioni giullaresche di Baliani.
Il regista si autodefinisce un “ folletto saltellante” che svolge una funzione comica e nello stesso tempo didascalica con quelle rime che ricordano la tradizione, assai viva in Toscana, del canto in rima.
Due i filoni narrativi approfonditi da questa appassionante rilettura del poema di Ariosto: l’incessante peregrinazione di Angelica, figlia del re del Catai che, come un animale che si sente braccato dai cacciatori, tenta di sfuggire agli assalti amorosi di tanti paladini.
L’altra storia rappresentata è quella di Bradamante, eroina cristiana innamorata del pagano Ruggero, inguaribile seduttore, incapace di accontentarsi dell’amore della sua donna e sempre desideroso di nuove avventure.
Accorsi e Baliani fanno rivivere sulla scena il sentimento non ricambiato di Orlando e dei numerosi cavalieri ammaliati dal fascino di Angelica, quell’ “ingiustissimo amor” del quale Ariosto stesso dice: “….perché sì raro/corrispondenti fai nostri desiri?…da chi disia il mio amor tu mi richiami,/e chi m’ha in odio vuoi ch’adori ed ami”.
Amore da intendersi anche come passione divorante che si insinua prepotentemente nell’animo di chi, fino ad allora, ne era stato immune: Angelica.
L’eros, di cui i due attori presentano innumerevoli sfaccettature, può trasformarsi perfino in una gelosia forte e violenta che giunge ad ottenebrare la mente di Orlando.
Il valoroso paladino cristiano, avvedutosi della relazione tra Angelica e il musulmano Medoro, rimarrà privo di senno perché come scrive l’Ariosto: “ …quale è di pazzia segno più espresso/che, per altri voler, perder se stesso?”.
I continui interventi di Baliani, spalla e comprimario di Accorsi, rispondono ad una duplice esigenza: divertire gli spettatori e cercare un trait d’union fra un’opera immortale, ambientata in un remoto passato, ed i nostri giorni.
L’insegnamento che proviene dalla pièce è proprio questo: le dinamiche che muovono gli amanti, i sentimenti che governano il loro agire rimangono sostanzialmente immutati attraverso i secoli.
Il regista, che colloca volutamente sullo sfondo la guerra “santa” che oppone cristiani e pagani, nel finale riesce ad emozionare con il suo Orlando-Accorsi che, ormai tornato in sé, piange inconsolabile la morte dell’amico, il paladino cristiano Brandimarte.
Alle lacrime del protagonista si accompagna il lamento intonato dal mare che circonda l’isola di Lampedusa (chiaro il riferimento alla recente strage dei migranti), mare che si dispera anche per la fine di Agramante e Gradasso, re dei Saraceni, segno questo di una natura che non conosce differenze etniche o religiose ma, dinanzi al termine estremo dell’esistenza, è pervasa da un unico, forte dolore.
Il solo ornamento della scena è una stupenda giostra, creata appositamente da Mimmo Paladino, celebre esponente della Transavanguardia, per aggiungere un ulteriore tocco magico ad una rappresentazione di per sé indimenticabile.