Glauco Mauri nel ruolo di Roman Polanski (anche lui regista e attore) e Roberto Sturno nel ruolo di Gèrard Depardieu: Glauco Mauri dirige, interpreta e porta in scena la sua versione teatrale di Una pura formalità, l’acclamato film di Giuseppe Tornatore girato nel 1994. E dopo i grandi classici, da Sofocle a Shakespeare da Goethe a Pirandello, passando per Goldoni, Dostoevskji e Brecht, Mauri prende spunto dal film di Tornatore (ma dall’anima thriller e psicoanalitica del regista siciliano entro cui annoverare anche La sconosciuta e La migliore offerta), sedotto “dall’inquietante fascino della storia e l’intensità che la avvolge fino alla fine”. Una pura formalità ha la struttura di un thriller, ma solo apparentemente perché in realtà rappresenta un vero e proprio thriller dell’anima. “Gli uomini sono eternamente condannati a dimenticare le cose sgradevoli della loro vita; e più sono sgradevoli e prima si apprestano a dimenticarle” dice Onoff in uno dei suoi romanzi. E in effetti è proprio questo il nodo del testo: tutto comincia con uno sparo, in una notte di tempesta. Lo scrittore Onoff (Roberto Sturno, storico compagno di scena di Mauri) presunto colpevole di un omicidio, viene portato all’interno di una misteriosa stazione di polizia dove viene interrogato dal commissario (un misurato, ironico e implacabile Glauco Mauri) che lo guiderà con accortezza alla scoperta di una sconcertante verità. Mauri e Sturno sono due grandi attori, protagonisti di un confronto serrato e avvincente. È chiaro che nel vedere lo spettacolo è necessario liberare la mente dal film per evitare inevitabili e sterili confronti: lo stesso Tornatore ha detto di aver lasciato massima libertà espressiva all’autore-regista. Una pura formalità di Mauri è uno spettacolo avvincente anche per chi conosce la pellicola, ma che a teatro si concentra ancor di più sul potere della parola, sfruttandone le enormi potenzialità e senza escludere del tutto alcune ricchezze espressive di origine cinematografica. Inquietanti le scene semimoventi di Giuliano Spinelli che richiamano una fredda e sobria stazione di polizia, funzionali le musiche di Germano Mazzocchetti. Lo spettatore si trova via via trascinato in un viaggio nella memoria che fra colpi di scena incessanti e indizi disseminati nel corso della storia giunge a una vera e propria catarsi. Lo spettacolo, uno dei più attesi della stagione romana, In resta in scena al Teatro Parioli Peppino De Filippo di Roma fino al 13 aprile.