L’ultima giornata del lungo dibattito “Turn over” tenutosi al Teatro Bellini di Napoli dal 13 al 17 ottobre, a cura di Interno 5, ha visto protagonista la critica teatrale. “Frattura critica”, nome dell’incontro racchiude in sé una ricca quanto mai problematica polivalenza che è stata oggetto di discussione in un confronto fra critici napoletani e non (è intervenuto anche “Teatro e critica”), uffici stampa e operatori del settore. E pur essendo mancato con i giornalisti della carta stampata, da esso è emersa una serie di questioni spinose afferenti al ruolo del critico teatrale oggi.
Critico nell’era della stampa online Non è semplice avvalorare la figura di chi scrive di teatro in connessione al mondo virtuale. Finché un critico poteva esercitare tale mestiere solo per la carta stampata probabilmente la complessità di problematiche era minore e sostanzialmente v’era un rapporto tradizionale e univoco con addetti ai lavori e con il pubblico. Del resto costituendo l’unico modo per farlo, si era assunti dai singoli giornali, con retribuzione, si era riconosciuti intellettualmente e o per preparazione o per excursus personale se ne attribuiva maggiore autorevolezza.
Ma ora che sul web proliferano le testate che si occupano di Teatro com’è possibile professionalizzare il critico? Se da un lato vi si è aperta una considerevole offerta accademica (lauree e master) dalla quale escono persone formate per far critica teatrale, ma non è detto che chi affluisca da altri percorsi non possa rendere alla stregua di chi si è specializzato all’università, d’altro lato spesso chi scrive lo fa per azzardo o non è adeguatamente preparato. E ancora, in mancanza di una gavetta in una concreta redazione giornalistica, in che modo approcciarsi alle regole del giornalismo online che è tanto dissimile da quello tradizionale? Siamo approdati ad una coerente e univoca linea editoriale e tecnica da adottare quando si scrive per giornali virtuali? La formazione allora non è solo culturale, ma anche tecnica.
La verità è che lo sdoganamento nel mare magnum di internet della critica teatrale si declina in tanti modi e arreca in sé altre questioni; la mancata identificazione professionale non solo va solo relazionata alla formazione ma anche alla non retribuzione.
Retribuzione o no non sembra costituire solo un fatto meramente pratico ma a tale problema è ancorata una faccenda etica. Difatti molti assolvono ad altri ruoli nell’ambito teatrale che corrispondono ad un guadagno, determinando un conflitto fra questo ruolo e quello del critico. Così capita che fra chi recensisce e chi è il recensito vi sia una relazione d’interesse e ciò offusca l’indipendenza intellettuale del giornalista.
Scrivere recensioni poi per chi? Con l’avvento dei social media il rischio di autoreferenzialità si profila più palesemente in agguato. Questo succede perché gli stessi artisti che si trasformano anche in personali uffici stampa determinano con chi li recensisce un rapporto per il quale quest’ultimo rientra sempre più nell’orbita promozionale che di critica teatrale vera e propria. Ciò significa perdere di vista la funzione principale cioè scrivere per il pubblico e con essa la responsabilità che ogni singolo articolo può comportare, sia nei confronti dello spettatore che sceglie di investire tempo e denaro in uno spettacolo, che verso gli stessi addetti ai lavori che ne sono giudicati e ciò deve essere fatto con competenza.
Insomma, a prescindere dall’esperienza, ad ogni “recensore” spetta la sua dose di consapevolezza anche in virtù del fatto che la temporaneità dell’articolo sul web è in teoria illimitata e in qualsiasi momento può essere facilmente accessibile al pubblico.
Il pubblico. Rendiamoci conto che la proliferazione di testate di Teatro sul web non è direttamente proporzionale all’incremento degli spettatori. Anzi, la percezione generica resta sempre quella che vede il Teatro un interesse di nicchia, sganciato dalla cultura di oggi.
Esso oggi non può realisticamente porsi come alternativa in un sistema generale che lo identifica come pratica obsoleta. I costi, le alternative dei media, sociali, culturali ed economiche hanno marginalizzato il settore relegandolo ad una dimensione per pochi appassionati, esigui studenti o pensionati, o addirittura ad addetti ai lavori. Dal canto di un ufficio stampa – è intervenuto al dibattito Sergio Marra, responsabile ufficio stampa dello Stabile di Napoli – l’intento di fare comunicazione canalizza di nuovo l’attenzione verso il pubblico da portare al teatro, a prescindere da una ancora esistente gerarchia fra carta stampata e testate online.
Ma anche qui i rapporti si diversificano a seconda del contesto sul quale si scrive. Le giovani compagnie, gli spazi off spesso bistrattati dai grandi giornali tradizionali trovano una rivendicazione nel web in cui si rivolge particolare attenzione al teatro di ricerca, di sperimentazione forse per una naturale sinergia. Questo può ripristinare il valore dell’operato del critico in merito a un’influenza sul prosieguo di quella compagnia.
Resta sempre il pubblico quanto mai distante, nonostante i nuovi linguaggi ed il web diano la possibilità di conoscere il Teatro a più livelli. Un problema a monte, quanto mai educativo se si pensa che gli altri paesi introducono già nelle scuole primarie un’educazione al Teatro, del tutto assente in Italia, in sinergia con un sistema di agevolazioni per giovani ancora parziale da noi. Non a caso si è fatto l’esempio del portale britannico ayoungertheater.com curato da giovani critici under 26 e riconosciuto da giornalisti storici del teatro inglese. Ma allora perché non riscoprire nell’attività del critico un valore “pedagogico” e finalmente non uno fine a se stesso?
In Italia, nella fattispecie a Napoli, dove per certi versi manca un sistematico confronto fra chi fa critica, chi fa l’artista ed il pubblico, occorre ricostruire una nuova visione. Laddove vige ancora chiusura, laddove non si avalla la possibilità che una nuova generazione possa definirsi professionalmente, resta la necessità di restituire un peso giusto al mestiere di critico in relazione ai vari aspetti e nell’ottica di una dimensione più grande in cui l’aderenza col pubblico, quindi con la realtà circostante, ritorni a far da perno. Bisogna educare al teatro e stimolare nuovi confronti con chi a teatro sceglie di andarci (perché non bisogna mai pensare che lo spettatore non sia in grado di comprendere ciò che vede), e non trasformare la critica in un esercizio intellettualistico fine a se stesso e neppure in un gioco di autoreferenze. Fare un mestiere preciso, insomma.