Cultura. È questa la parola d’ordine. Cultura che sta, come ci ricordano i latini, per “coltivare”. Coltivare il proprio talento, coltivare la bellezza, la passione e l’energia per debellare la morte, la miseria, la violenza, l’ignoranza.
Tutto questo è lo spettacolo Coup Fatal, andato in scena all’Arena del Sole di Bologna nell’ambito di VIE Festival. Il progetto nasce quando Fabrizio Cassol, saxofonista belga, incontra a Kinshasa, capitale del Congo, Serge Kakudji un bravissimo controtenore autodidatta che decide di portare con sé a Bruxelles. Quest’ultimo ha avuto, con Paul Kerstens, l’idea di coinvolgere altri musicisti congolesi e così è nato lo spettacolo sostenuto, infine, anche da Alain Platel che ne diventa direttore artistico.
Il risultato è uno spettacolo che vibra, che ha il sapore delle cose autentiche, capace di trovare un’armonia laddove sembra non esserci. Sì, perché per prima cosa assistiamo a un concerto in cui la musica barocca è contaminata con la musica afro, rock e jazz creando un repertorio originale, un universo musicale inedito, arricchito dalla possente fisicità dei musicisti-performer. E così l’opera settecentesca di Handel “Lascia ch’io pianga” diventa un manifesto di questo popolo che sospira la libertà e non si rassegna alla dura sorte ma reagisce, canta, balla e sprigiona energia.
Niente serve per abbellire questo spettacolo, nessun orpello. Ad adornare la scena solo gli strumenti musicali, delle sedie di plastica che serviranno, spesso, come oggetti coreografici e una tenda fatta di bossoli di pallottole, usati, in questo spettacolo, per reagire non per soccombere ai massacri delle guerre. Anche i passi di danza sono un tributo alla cultura africana, si riconoscono tra essi anche i passi della Capoeira, la danza creata dagli schiavi africani dell’Angola e del Congo in Brasile. Una simulazione di lotta per la liberazione dalla schiavitù. I piedi sono nudi, il contatto con la terra è potente, la voglia di riscatto tanta.
È impossibile non lasciarsi trascinare in questa baraonda di energia che, a più riprese, coinvolge il pubblico direttamente, invitandolo a partecipare, perfino sollecitando delle dame della platea a ballare un lento molto sensuale.
Poi, quando lo spettacolo sembra finito, gli artisti rientrano in scena, stavolta vestiti di tutto punto, con abiti dai colori sgargianti, cappelli, scarpe eleganti, proprio come dei dandy congolesi, i cosiddetti Sapeurs, che hanno rivisitato la moda occidentale. Così anche i simboli degli oppressori diventano uno strumento di affermazione della propria autonomia. Le tristi giacche e cravatte qui sono colorate, gli accostamenti improbabili. Tutto ciò crea un simbolico arcobaleno di pace. La danza, la joie de vivre, l’armonia, la bellezza, la voglia di reagire vincono sulla brutalità e la barbarie umane. Almeno qui.