Presentato da Diana Or.i.s. e Chi è di Scena, lo spettacolo è scritto, interpretato e diretto da Vincenzo Salemme con Nicola Acunzo, Domenico Aria, Vincenzo Borrino, Susy Del Giudice, Andrea Di Maria, Antonio Guerriero,Scene di Alessandro Chiti, i costumi di Mariano Tufano, le musiche di Antonio Boccia e le luci di Umile Vainieri.
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Dall’avanspettacolo alla poesia! Si ride, si ride, si ride per non piangere.
Che peccato! Che peccato dover dire “Un’occasione sprecata!”
Sono lontani e forse perduti i tempi in cui il pubblico manifestava il suo dissenso fischiando o magari ‘soltanto’ non applaudendo. Ridono, in platea ridono, applaudono e sul palco loro, gli attori, sono contenti, convinti che lo spettacolo sia andato bene, sia piaciuto e poi sono di nuovo in camerino, lontani da quelle mani che hanno fragorosamente sottolineato la loro azione scenica, ma soprattutto lontani dalle voci che dicono tutt’altro all’uscita dal teatro.
“A noi hanno regalato i biglietti, altrimenti… “ così una coppia racconta ad amici – e ancora:” Non si può stare un’ora e quaranta a sentir parlare del…tronchetto della felicità!” Così Salemme decide di chiamare l’organo genitale maschile e per uno strano caso del destino, trova in platea un signore che si chiama Felice… La platea impazzisce dalle risate. In scena, il povero Rocco Pellecchia, non certo aiutato dal cognome, si accorge di essere rimasto orfano del pene e da qui parte la storia.
Travestimenti, equivoci, battute urlate e sussurrate in un dialetto molto stretto, voci gutturali e sgraziate.
La scena è riempita da un Salemme scatenato, al di sopra delle righe, che non rispetta il ritmo delle battute e lo spazio dei suoi compagni, che faticano a tenergli dietro, pur lodevoli per l’impegno. Arriva, insidiosa, una punta di nostalgia della vecchia compagnia! E’ bravo Salemme, forse lo era ancor di più, con Carlo Buccirosso, Nando Paone e Maurizio Casagrande. Ma ognuno ha diritto alla sua Compagnia ed oggi sono tutti Capocomici, ed ognuno è un po’ più solo!
Lo spettacolo va avanti e si ride, perché da sempre si ride delle disgrazie altrui: è una formula che funziona dai tempi di Plauto, senza voler scomodare Aristofane. Già nella Magna Grecia fiorivano buffoni girovaghi che divertivano la plebe, i Fliaci che andavano in giro su carri e recitavano abbigliati con maschere comiche, camiciotti larghi e corti, con finti ventri sporgenti e pantaloni stretti che lasciavano scoperte grosse natiche (finte) e davanti portavano appesi enormi falli (finti). Ed ancora come non ricordare Moravia con il suo “Io e Lui”?
Forse anche “Sogni e bisogni” di Salemme sarà studiato dagli storici perché si sa che deve passare un po’ di tempo prima di avere chiara la visione storico-social-culturale della realtà.
Sogni e bisogni. Era partito da un altro sogno Salemme, quando rivendicava la pensione di invalidità civile per il crollo dell’ideologia comunista, nello spettacolo “Lo strano caso di Felice C.” E rendeva leggera una storia grave di disabilità in “E fuori nevica”. Si addentrava in meandri psicologici e sociali, sempre con la risata, nella “Premiata pasticceria Bellavista”, perché a Napoli si ride anche dei guai con Salemme, istrionico uomo di spettacolo, coinvolgente, divertente ed intelligente.
Ma con Sogni e Bisogni non si rivela all’altezza delle sue stesse capacità, scegliendo la banalità.
In una veloce scorribanda di movimenti e parole che si sovrappongono come improvvise ‘pulcinellate’, il povero Tronchetto della felicità dichiara a tutti la sua aspirazione al Sogno e in un finale davvero a sorpresa, togliendosi la maschera e rendendosi dunque visibile si lancia in una poetica ed accorata difesa dell’uomo comune, piccolo nella metodicità mediocre delle sue abitudini, ma pur sempre ‘un uomo perbene’. Ed un gigantesco condominio con tanti balconcini illuminati si chiude in una brillante soluzione scenografica.
Stelle cadenti alla ricerca di sogni splendenti. Bisogni impellenti rendono gli individui impotenti.
Uno squillo di tromba, per svegliare le coscienze, arrivato davvero come un fulmine a ciel sereno. Perché? Salemme si riconferma grande trascinatore e coinvolge il pubblico parlando alla sua pancia, anzi al suo inquilino di sotto (altro eufemismo) per ritornare attraverso il fegato (gustosa la gag del dialetto veneto per la battuta del ‘fegato alla veneziana’) al cervello. Sembra dire “Vi faccio ridere, vi faccio sbellicare dalle risate per farvi pensare”.
Pulcinella vestito di bianco, con la maschera rossa ha sempre fame, ha fame di sogni e noi abbiamo fame di cultura.
Il nostro Bel Paese merita un po’ di buon gusto.