La Maria, la Gilda, la Palmira e la Elena sono le levatrici che ci accompagnano attraverso le loro storie, mostrandoci un momento intimo e romantico, ma anche imprevedibile e terribilmente faticoso, quello della nascita di una nuova vita.Non ci troviamo, come nella prima, breve e concitata parte dello spettacolo, davanti a donne sole, spaventate, spaesate e un po’ isteriche, affidate alle mani di medici “asettici” e travolte da esami, anestesie, tagli e ventose Il racconto delle comari è dolce, recitato con un tono calmo e rassicurante, lo stesso usato da loro per tranquillizzare le donne che assistono, perché, ci spiegano, le complicazioni sorgono più per paura e ignoranza che per errori della natura. Scopriamo che la levatrice non era solo un mestiere, ma una vocazione, dove non solo era necessario essere sempre all’erta, pronte a salvare due vite con colpi di genio e, perché no, anche grazie a qualche miracolo. La levatrice era anche psicologa, ginecologa, sessuologa, assistente sociale, era la figura a cui ogni donna (e uomo) si rivolgeva, un consultorio ante litteram.Gli uomini, creature misteriose, sono dei personaggi di sfondo in queste storie: nel peggiore dei casi rallentano la levatrice (“ma questa storia finisce male e non ve la voglio raccontare“), nel migliore baciano quella porta dietro la quale tutto si sta compiendo.Si tratta, in questo spettacolo di storie di donne, di ogni classe ed età. Durante il parto della Rosina le vediamo tutte riunite, la vecchia nonna che sgrana il rosario, la giovane che sta mettendo al mondo il suo bambino , la levatrice che sembra quasi nasconda un sorriso e la ragazzina elettrizzata, che tra sé e sé pensa che, in fondo, non è così male questa cosa di far nascere i bambini.Giuliana Musso, il cui talento è indiscusso, commuove il pubblico più volte con la potenza del suo monologo, tanto che quando gli occhi del bimbo di Rosina si aprono al mondo ci sembra di essere lì, nella stanza con loro, ad assistere alla magia di una nascita.Nati in Casa è uno spaccato su quello che eravamo e quello che siamo, è un desiderio di atavismo volutamente marcato per farci riflettere sul presente, un argomento delicato e raramente affrontato raccontato con realismo, ironia e delicatezza.