Torna più criptico che mai Romeo Castellucci della Società Raffaello Sanzio col nuovo spettacolo presentato in anteprima nazionale al Teatro Argentina di Roma e in scena solo fino al 18 gennaio prima di ripartire per nuove tappe e nuovi lavori in tutta Europa. Il nome Go down, Moses riporta alla mente l’omonimo titolo di un libro di racconti di Faulkner e dell’anima nera americana narrata dallo scrittore americana è intriso questo spettacolo, che risente anche della visione che aveva Melville dell’Antico Testamento e dell’inquietudine de Il velo nero del pastore, racconto di Nathaniel Hawthorne. Ma c’è dell’altro. Go down, Moses sono anche le parole invocate in uno spiritual cantato dagli afroamericani all’epoca della schiavitù nei campi di cotone. Oggi come allora Mosè è invocato per chiedere la liberazione dal dolore e dalla sofferenza E in un momento come questo, all’indomani dei tragici attentati di Parigi, il discorso si fa di pungente attualità. Il grido di allarme sulla scena è affidato ad una giovane madre che si è disfatta del bambino che portava in grembo, abbandonandolo in un cassonetto. Castellucci non usa metafore quando deve rappresentare il dolore. La donna seminuda si contorce per un’emorragia dovuta al parto clandestino. Le sue mani sporche di sangue imbrattano le piastrelle lucide del bagno di un locale in cui si trova. Si lamenta ma non chiede aiuto. Cade e si rialza. Da sola affronta la sofferenza, convinta che valga la pena soffrire, come spiegherà all’ispettore che in seguito la interrogherà. Quello che apparirà un vaneggiamento mistico sarà in realtà il messaggio dello spettacolo che richiama i fatti del Libro dell’Esodo attraverso molteplici scene simboliche: l’abbandono del piccolo Mosè nelle acque del fiume Nilo prosaicamente rappresentato dal cassonetto dell’immondizia, il roveto ardente dell’incontro con Dio, i 40 giorni sul monte Sinai, il culto del vitello d’oro, il passaggio del Mar Rosso, evidentemente evocato dal sangue perso dalla donna, evento imprescindibile per portare avanti il processo di liberazione degli uomini dalla schiavitù e dagli implacabili ingranaggi del mondo che stritolano tutto. Come in tutti gli spettacoli di questo regista non bisogna cercare l’elemento narrativo, sfuggente e destrutturato, ma lasciarsi travolgere dai simboli che allargano le nostre percezioni e ci parlano più di quanto potrebbero dirci le parole. Con l’aiuto delle musiche di Scott Gibbons, poi, delle luci accecanti e dei suoni stridenti che fanno vibrare l’aria del teatro, si viene investiti dalla potenza delle scene, arricchite da un impianto scenografico notevole nel finale. I concetti sono veicolati dai linguaggi più disparati, da quelli più recenti come le emoticon proiettate sul tulle nel proscenio a quelli più arcaici come le impronte delle mani di una donna preistorica che chiede SOS, di nuovo una richiesta di liberazione dal dolore provato per la perdita di un figlio. In Go down, Moses la donna è depositaria di arcani disegni del destino e a lei Romeo Castellucci affida il doloroso compito di cercare la strada verso un mondo migliore.