Randy Craig Wolfe, aka Randy California, cresce in una famiglia di musicisti, tanto che suo zio, Ed Pearl, fonda un club a Hollywood (l’Ash Grove), dove si mescolano le armonie folk, rock e jazz. Nel frattempo sua madre si unisce con un nuovo compagno, il batterista Ed Cassidy, che diventerà, a tutti gli effetti, il patrigno di Randy. Cassidy ha già al suo attivo collaborazioni con musicisti jazz del calibro di Art Pepper e Jerry Mulligan, quando, nel 1964, forma i Rising Son con, tra gli altri, Taj Mahal e Ry Cooder. L’anno dopo nascono i Red Roosters, con il suo giovanissimo figliastro Randy, il bassista Mark Andes (Poirot direbbe di ricordarsi questo nome) e il front-man Jay Ferguson.
Ma nel 1966, Ed riceve un contratto per una serie di concerti jazz, che costringono la sua nuova famiglia a spostarsi dalla California sino a New York. E’ lì che Randy incontra Jimi Hendrix, suonando, per tutta l’estate, nella sua band di allora, Jimmy James and the Blue Flames.
Fu proprio Hendrix che gli dette il nome d’arte di Randy California, distinguendolo così da un altro Randy della sua band, chiamato Randy Texas.
Quando Chase Chandler, ex bassista degli Animals e che diventerà, poi, il manager di Jimi Hendrix, invitò il gruppo in Gran Bretagna, i genitori di Randy California si opposero in quanto, a quindici anni, Randy doveva terminare il suo percorso scolastico. Qualcuno, malignamente, sospetta invece che Chandler volesse Jimi come unico chitarrista, trovando gli escamotage giusti per lasciare a casa il teen-ager californiano.
Nel 1967 Randy insieme a Cassidy, Ferguson, Andes (davvero, ricordatevi questo nome, per favore, magari segnatevelo su un post-it), e il tastierista John Locke forma la band degli Spirit.
Nel gennaio dell’anno successivo esce il primo album del nuovo quintetto, dal titolo omonimo (Spirit), che contiene, tra le altre, “Taurus”. Randy ha diciassette anni e, nello stesso periodo, scrive il più grande successo della band, “I Got a Line on You”, inserito nel secondo album, “The Family That Plays Together”, edito alla fine sempre di quel 1968 e che raggiungerà il ventiduesimo posto nella classifica degli album, mentre il singolo salirà sino quasi alla top ten.
Notevole anche il long-playing “Twelve dreams of Dr. Sardonicus” del 1970, dove spicca un’altra hit: “Nature’s Way”.
Gli Spirit vennero invitati ad aprire l’esibizione di Jimi Hendrix a Woodstock, ma il loro manager, Lou Adler, rifiutò in quanto la band era impegnata nel promuovere il loro ultimo album, Clear. Anche per assurde decisioni di questo tipo, saranno costretti a vivere perennemente in un limbo che non li farà mai sfondare definitivamente, aldilà delle indubbie qualità dei componenti della band. Come succede spesso nell’ambiente musicale e, anche, in qualsiasi altra attività, compresa la mia e la vostra.
Forse questione di fortuna, oppure di crederci davvero fino in fondo. O solo non possedere quella marcia in più, la storia della musica è zeppa di bravi cantanti e musicisti, che non hanno avuto quel quid in più, o un manager più avveduto, e gli Spirit ne sono forse una dimostrazione. Cessano di esistere con la tragica scomparsa di Randy California, nel 1997, dopo una ventina di album all’attivo.
Ma torniamo un attimo indietro a quel 1968. Verso la fine di quell’anno gli Spirit, già con un LP stampato e alla ricerca del lancio del secondo, fanno da spalla alla tournée statunitense dei Vanilla Fudge. Il 26 dicembre di quell’anno la tappa è a Denver all’Auditorium Arena, e avviene qualcosa di inaspettato. Dieci giorni prima di quel concerto, un agente teatrale, si ipotizza Peter Grant, chiamò l’organizzatore del tour, Barry Fey, per convincerlo a fare suonare i neonati Led Zeppelin nello stesso concerto, prima degli Spirit e, in successione, dei Vanilla Fudge. Dopo un primo rifiuto, Fey e l’agente trattano sui soldi, l’eterno viatico, e i Led Zeppelin vengono finalmente arruolati.
“Quando annunciai al pubblico i Led Zeppelin, ci fu una modesta quantità di applausi, quelli che si fanno per educazione. Poi, Robert Plant iniziò a cantare e tutti rimasero di sasso. Francamente, non so come fecero gli Spirit a suonare dopo di loro. Non ci voleva un genio per capire che gli Zeppelin avrebbero sfondato, la gente andò fuori di testa”. (Barry Fey).
Lo shock di un blues diverso, evoluto, genitore di armonie mai ascoltate prima, in questo contesto e in quegli anni. Per non parlare di Jimmy Page e dell’assolo di chitarra fatto usando l’archetto del violino. Così che i Led Zeppelin diventano un elemento stabile nel prosieguo di quel tour in giro per gli States.
Ma una tournée amalgama, si suona, si sperimenta e si ascolta, e una linea di chitarra di un brano degli Spirit, si dice, fornirà a Page l’ispirazione per una composizione, che uscirà tre anni dopo, diventata una pietra miliare della musica contemporanea di quell’epoca, perpetuando la sua potenza sino ad oggi e, proprio come ogni opera d’arte, anche nel futuro. Un’opera d’arte stimata 560 milioni di dollari.
Poirot, allora, aggrotta il sopraciglio destro, fa per rivolgersi ad Hastings, e, accorgendosi che egli è immerso nella lettura del Times, nasconde, con una leggera smorfia che inclina verso il basso il baffo sinistro, il suo disappunto per l’ennesima distrazione del suo collaboratore.
Prende, con i due indici, quel primo LP, assicurandosi che gli altri cinque restino ancora perfettamente posizionati, l’uno sull’altro. Si siede alla sua scrivania e, con il suo affilatissimo tagliacarte, incide lentamente ma con mano sicura, la pellicola che, dall’unico lato possibile, protegge quel disco nero, grande, che scivola, finalmente liberato, nelle sue mani.
Con estrema cura lo appoggia sul piatto RPM-10, dotato di testina Ortofon. I cavi scivolano sul pavimento, raggiungendo l’amplificatore a valvole e, da qui, le due casse, fiere nella loro statuaria grandezza.
“Hastings, s’il vous plaît, la smetta di leggere e mi aiuti nell’ascolto. Dopo questo, ce ne sono altri cinque!”
– continua –