Prima lo sciabordio delle onde del mare, poi l’esplosione incontenibile della musica di Bizet: comincia così la Carmen napoletana di Mario Martone e dell’Orchestra di Piazza Vittorio che ha debuttato con successo al Teatro Argentina di Roma. Rielaborata da Enzo Moscato, la Carmen diretta da Martone (coprodotta dalla Fondazione del Teatro Stabile di Torino e dal Teatro di Roma) diventa una dramma della gelosia, una sorta di sceneggiata napoletana, un caleidoscopio di emozioni e di colori dal folklore mediterraneo, a tratti kitsch, che presenta un’umanità variegata e brulicante in salsa partenopea che guarda a Viviani con un ritmo ritmo vivacissimo e teso.
L’operazione drammaturgica però è molto attenta e mai gratuita nella sapienti mani del regista: in poco meno di novanta minuti Martone conduce il pubblico alla scoperta di una Carmen inedita all’insegna della contaminazione dei generi, spaziando dalla tragedia al varietà, dalla sceneggiata napoletana alla musica di Bizet, ma muovendosi con intelligenza fra gli eccessi. La multietnica Orchestra di Piazza Vittorio diretta da Mario Tronco in giacca rossa si confronta di nuovo con la Carmen (che ha aperto anche la stagione estiva del Teatro dell’Opera alle Terme di Caracalla nel 2014) e gioca un ruolo fondamentale suonando vivacissime musiche ispirate all’opera di Bizet, ma anche canzoni popolari all’insegna della contaminazione dei generi: i musicisti poi salgono sul palco per essere parte integrante della drammaturgia o tornare nella buca.
Anche la struttura drammaturgica viene scomposta fin dall’inizio e giocata parallelamente su due piani diversi, ma complementari, del presente e del passato dell’azione rievocata. L’incipit è una narrazione a ritroso che vede Cosè, un validissimo Roberto De Francesco che parla con accento del Nord Italia, straniero a Napoli, chiuso in prigione prima di morire impiccato per raccontare ae dannarsi come sia stato irretito e stregato da Carmen, bravissima e magnetica Iaia Forte, protagonista dalle mille sfaccettature, seducente e volitiva, innamorata ed egoista, volubile e coraggiosa che rivendica nel monologo iniziale e finale il suo diritto alla libertà, elencando da Eva a Madame De Pompadour le donne che prima e come lei hanno popolato la storia.
Si passa velocemente dal primo atto in cui arriva quasi a scomparire l’ombra delle sigaraie, al secondo atto che si consuma in un qualunque luogo di periferia e nella taverna di Lilà Bastià intepretato dall’imbalsamatore di Matteo Garrone, l’accattivante Ernesto Maieux, cui Martone affida anche il ruolo di narratore di raccordo della storia, all’arrivo del torero di Houcine Ataa (qui un acclamato cantante) fino al coloratissimo terzo atto in cui il dramma finale si consuma fra le chiassose note di una di festa collettiva fra danze (coreografie di Anna Redi) e musica. Un dramma finale con sorpresa perché Carmen non muore, ma viene accecata invitando il pubblico a un’ultima riflessione aperta che non lascia spazio al pentimento o alla finta moralità. “Che vi devo dire? I’ nun so’ morta. Musica maestro” invoca Carmen in chiusura fra gli applausi del pubblico. In scena fino al 19 aprile al Teatro Argentina di Roma, poi in tour a Genova, Bari, Brindisi, Fano, Milano, Trieste fino al 24 maggio.