L’apparenza, che vogliamo sempre mantenere, sempre sfoggiare, e mostrare, come si fa con un bel dipinto.
Luigi Pirandello nel 1927 scrisse questa commedia, “L‘amica delle mogli”, in cui ci presenta due coppie ed una donna, una femme fatale, che dice di non sapere d’esser tale, ma che consiglia, premurosa le sue amiche, sistema loro i capelli, gli abiti e i mariti, con gaudio, si preoccupa di ordinar casa, la casa dei futuri sposi Elena e Fausto, e poi ci sono Francesco ed Anna, Francesco non può sopportare il pensiero che Fausto, una volta morta la moglie malata, si possa sposare con Marta, la donna capace di far innamorare tutti, indistintamente, con la sua perfezione, elegante, raffinata, perfetta, giusta, l’amica delle mogli, che ogni donna consiglierebbe ad ogni uomo di farla sua, per sempre, perché lei, Marta è una rara ed amabile creatura, colpevole, ma innocente.
Francesco uccide Fausto, ora Marta non potrà essere più sua. Ed Elena? Elena è troppo preoccupata a voler essere Marta, è annebbiata dall’insicurezza, dalla fragilità e forse anche dalla consapevolezza di non essere dotata di charme, di personalità, carattere e allora è meglio rifugiarsi, in lei, in quella che vorrebbe essere, accontentarsi di essere una pallida copia, e niente più.
Elena venne uccisa dalla realtà, che aveva sempre saputo, ma sempre finto di non sapere. Marta, una donna, sadica, diabolica, che si insinua abilmente tra le fessure delle anime di questi uomini e donne, abbagliati dalla luce perversa, che emana, causando scompiglio, caos, rea di essere ammaliatrice, lei a causa della propria frustrazione si nutre del cuore, dell’ammirazione, degli altri, senza neanche chiedere il permesso, irrompe come un uragano nelle loro vite, destabilizzandole. Il suo altruismo nasconde un egoismo spietato e disperato.
La gelosia, l’invidia di questi uomini conducono a vite interrotte, spezzate dalle proprie identità, il proprio essere è causa di disagio, di un inquietudine profonda, sulle tracce di una vita che hanno scelto, ma che ora non è abbastanza, non è quella desideravano e allora non importa la sofferenza di chi abbiamo detto di amare, onorare, la vita di chi abbiamo scelto, perché l’importante siamo noi e nessun altro.
L’amore e l’amicizia acquisiscono un’accezione negativa, perché nulla di limpido e onesto appare in questo elegante salotto, in cui le buone maniere nascondono le cattive intenzioni.
La regia della bravissima Annig Raimondi, presente anche sul palco con Maria Eugenia D’Acquino, Lorena Nocera, Carlo Decio, Riccardo Magherini, Vladimir Todisco Grande, Giovanni Di Piano e Alessandro Pazzi.
Le luci di Fulvio Michelazzi, le musiche originali di Maurizio Pisati e le scene di Giuseppe Marco Di Paolo, contribuiscono alla riuscita di un classico italiano di un grandissimo autore come Luigi Pirandello, riuscendo perfettamente ad esaltare l’aspetto psicologico, caratteristica di questo autore, “studioso” della decadenza morale rappresentando ansie ed angosce, rappresentando la realtà di molti, senza mai escludere l’ironia da quei dialoghi in cui l’incomunicabilità dei personaggi la fa da protagonista.