Una scrittura drammaturgica brillante e arguta e un’artista indomita danno vita alla rappresentazione di uno spaccato di vita che riflette le contraddizioni dell’animo umano e le contrapposizioni generazionali, tratteggiate non con la perentoria drammaticità amletica dell’“essere o non essere” ma con la levità della “plume” di Franca Valeri.
L’attrice ha caratterizzato la critica di costume nel teatro comico e nel varietà televisivo degli anni ’60 con le figure femminili portatrici di temi sociali ed esistenziali delineando bozzetti di uno stato sociale in cui le maschere, storicizzandosi, si sono tramutate in personaggi modelli di riferimento antropologico.
La Signorina snob, ultimo retaggio delle gran dame settecentesche, assommava in sé mondanità ed esibizionismo ipocrita, paradigma delle manie dell’Italia del boom economico. Tali atteggiamenti erano, altresì, stigmatizzati con estrema sagacia dall’altra sua creatura, Cesira la manicure, mentre la signora Cecioni costituiva la tipica espressione della popolarità romana perennemente al telefono con mammà. L’universo femminile scandagliato nelle molteplici sfaccettature con crudele e discreta ironia, sulle cui ossessioni ha steso lo sguardo penetrante e intelligente, ironico e pietoso, a volte lievemente allusivo, ma garbato, suscitando la risata amara e consapevole, mai gratuita.
In questo ultimo impegno drammaturgico la Valeri mette sulla scena tre personaggi: una donna anziana e saggia, un uomo inquieto in cerca di ancoraggi e certezze, una giovane donna ambiziosa e bella. La vecchia signora è il fulcro intorno al quale gira la vicenda, in senso figurato e reale. Ruota infatti intorno a lei anche la scenografia di Alessandro Chiti abilmente ideata per consentire all’attrice di rimanere seduta al centro di una pedana circolare che le rotea intorno con gli arredi di scena. Un’ulteriore ambientazione è collocata dietro il velatino a un livello superiore, svelata dalle luci sanguigne di Michelangelo Vitullo, luogo degli incontri del giovane con la grintosa ragazza.
Attraverso i dialoghi e le domande poste alla signora, l’uomo impara a conoscere e a confrontarsi con la figura paterna, facendo snodare il filo dei ricordi: la signora è stata amante del padre per lunghi anni, nella totale assenza della moglie e madre. Egli la cerca con un amore filiale, gode dei momenti di dolce tregua nella sua frenetica esistenza, una pausa metaforica per “il cambio dei cavalli” come nelle antiche stazioni di posta o come la moderna sosta per il pieno di benzina.
Ancora una volta l’analisi di vizi e virtù della classe borghese: la signora eccentrica, raffinata e colta, l’imprenditore ricco e donnaiolo poco incline alla responsabilità, l’arrampicatrice sociale spregiudicata, acuta e lungimirante.
Dopo oltre sessant’anni di fulgida carriera in radio, televisione, cinema e teatro come interprete e autrice, lo stile e la verve comica sono intangibili e questo testo pungente e raffinato, ricco di citazioni e aforismi, fornisce una prova d’autore di drammaturgia contemporanea a sostegno del punto di vita più volte espresso di lasciare in pace i classici.
La commedia è stata scritta pensando a Urbano Barberini come co-protagonista (più volte compagno di palcoscenico) egregio interprete delle inquietudini del suo personaggio. Alice Torriani ha le physique du rôle. La regia di Giuseppe Marini aleggia leggera ed elegante veicolando il sarcasmo amabile e complice.
Non si arrende, Franca Valeri, al mondo e alla vita e nemmeno agli oltraggi dell’età. Il tremolio della voce offusca a volte l’efficacia della battuta che caparbiamente supporta con la mimica e la gestualità, continuando a vivisezionare l’animo femminile, perché, sostiene “il teatro è certamente, da sempre, il miglior contenitore delle segrete ambiguità dei rapporti umani”.