Tragedia lirica in due atti
Libretto di Felice Romani dalla tragedia omonima di Alexandre Soumet
Musica di Vincenzo Bellini
Personaggi e interpreti:
Pollione: Gregory Kunde
Oroveso: Dmitry Beloselskiy
Norma: Carmela Remigio
Adalgisa: Roxana Constantinescu
Clotilde: Anna Bordignon
Flavio: Emanuele Giannino
Maestro concertatore e direttore: Gaetano d’Espinosa
Regia, scene e costumi: Kara Walker
Regista collaboratrice: Ann-Christin Rommen
Light designer: Vilmo Furian
Orchestra e Coro del Teatro la Fenice
Maestro del Coro: Claudio Marino Moretti
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
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Dopo ventidue anni, Norma è tornata sulle scene veneziane grazie al nuovo allestimento targato Fondazione Teatro La Fenice nell’ambito della Biennale d’Arte 2015. Nella tragedia lirica di Bellini, desunta dall’omonimo testo di Alexandre Soumet, rielaborazione a sua volta del mito di Medea, pubblico e privato entrano in competizione, all’interno dell’obbligata – e quanto mai attuale – triangolazione lei-lui-l’altra. Da un lato, infatti, c’è il ruolo sacerdotale, dall’altro l’amore per un uomo ormai vile e doppiamente fedifrago. Due sfere distinte descritte mirabilmente nella partitura, con stilemi nettamente individuabili che arrivano a fondersi nel finale secondo, quando, innanzi alla comunità stupefatta, si compie l’estremo sacrificio della finta rea.
Kara Walker, artista afroamericana a cui premono temi quali razza, gender, sessualità e violenza, ha curato l’allestimento nella sua interezza. In linea con le esplorazioni personali, ma non con il celebre Hic sunt leones, a ricordarci come venisse definita dagli antichi l’Africa ignota, Walker traspone la vicenda durante la colonizzazione francese del Congo, trasformando Pollione nel governatore Pietro Savorgnan di Brazzà, Norma in stregona locale e i Galli in un clan equatoriale. Al centro della scena giace un’enorme maschera tribale – oggetti che tanto affascinarono Picasso e i cubisti quale espressione di una cultura vergine e primordiale – al contempo abitazione, tempio e rogo, mentre dei fondali a silohuettes, simili a quelli che troviamo nei libri di fiabe illustrate, ricreano un’intricata vegetazione e un cielo nuvoloso. I costumi evocano le tinte dell’Africa, ma non passa inosservato, ahimè, il contrasto tra le vesti sacre e profane della druida: se aggressive, quasi seconda pelle cucita addosso, è la divisa da sacerdotessa, che la fa apparire giovane e vendicativa, il lungo abito blu con tanto di calze, riservatole nell’ambito domestico, la tramuta in tardona colonizzata, sbilanciando così l’unicità del personaggio. Manca inoltre una regia sapiente. L’azione è pressoché inesistente, i cantanti rimangono congelati in una, voluta o meno non è dato sapere, staticità oratoriale, sebbene qualche interprete sia riuscito a metterci del suo. Nel complesso, sono state presentate idee originali che avrebbero meritato uno sviluppo ulteriore e più approfondito.
La compagnia vocale non ha spiccato il volo. Osannato da molti, Gregory Kunde ha incarnato un Pollione eccessivamente urlato. Sebbene possieda il temperamento della parte, il tenore ha cantato tutto uguale, senza colori particolari, in maniera dura e secca. Scelta audace, quella di Norma, per Carmela Remigio, ottima interprete di Mozart e contemporanei, ma non dell’eroina belliniana. Il soprano possiede indubbie doti da grande diva perché sa unire il gesto al canto, oltreché varietà e gusto nei vari personaggi interpretati. Fatto sta che, in questo frangente, la voce si è rivelata limitata nella zona grave e forzata nel registro acuto, troppo lieve quindi per ritrarre una Norma memorabile. Ottimo l’Oroveso di Dmitry Beloselskiy e poco convincente il timbro dell’Adalgisa di Roxana Constantinescu. Debole di volume la Clotilde di Anna Bordignon e minimale il Flavio di Emanuele Giannino.
Altalenante la conduzione di Gaetano d’Espinosa. Se ci ha introdotto subito nella sacrale cupezza di Norma con la sinfonia barbarica, dai ritmi serrati, con i fiati ben restituiti e senza eccessivi clangori, è riuscito in seguito a portare l’orchestra verso percepibili scompensi con i cantanti nel finale primo, a causa forse dei tempi troppo comodi adottati per l’occasione, mentre ben reso è stato il sacrificio di Norma.
Il coro, preparato dal maestro Claudio Marino Moretti, si è distinto per la consueta professionalità.
Applausi calorosi rivolti a Constantinescu, Kunde e Remigio.