Dopo il successo della scorsa edizione autunnale, Gabrio Gentilini, artista affermato nel mondo del musical, ritorna dal 3 luglio al 2 agosto 2015 al Barclays Teatro Nazionale di Milano con Dirty dancing, fedele trasposizione teatrale dell’omonimo film ambientato nell’estate del 1963 e uscito nelle sale cinematografiche il 21 agosto 1987.
Per comprendere i segreti di questa ripresa ricca di novità Teatrionline gli ha posto alcune domande per indagare quanto si sia calato nel personaggio e cosa lo spinge su questa non facile strada artistica.
Alto, gentile, alla mano, ma attento a chi ha davanti, Gabrio crea da subito un rapporto sciolto e aperto mostrando di volere veramente farsi conoscere per quello che è. Si mostra curioso di conoscere chi lo intervista, emblema di tutti quegli spettatori nella cui mente e cuore vorrebbe entrare per trasmettere momenti di sana allegria insieme a messaggi positivi sulla vita.
Conscio delle proprie possibilità e potenzialità e riconoscente nei confronti di chiunque gli abbia dato qualcosa che lo ha aiutato a conoscersi e a crescere superando i fisiologici momenti di crisi, si rivela pacatamente ansioso di continuare a formare la propria personalità umana e artistica certamente inscindibili, visto che non si smette mai di imparare, e speranzoso di ulteriori esperienze specialmente verso il mondo del cinema.
Sogni che non lo scollegano dalla realtà cui è rigidamente ancorato, consapevole che il successo è un’onda capricciosa che scivola via con la stessa velocità con cui è arrivata.
Dopo avere cercato di intervistare chi gli pone le domande, eccolo – davanti a una bottiglietta di acqua naturale, rigeneratrice vista la canicola – disponibile alla parte che gli tocca: quella di raccontarsi.
Gabrio, Dirty Dancing è ormai un classico, un titolo da record sia come film, sia nella versione teatrale: cos’ha ancora da comunicare?
Lo spettacolo esercita un fascino nei confronti delle donne che s’immedesimano nella diciassettenne France Houseman, detta “Baby” – giovane ospite di un festoso villaggio turistico insieme alla famiglia – che si trova coinvolta suo malgrado in una storia che fa scoprire nuovi mondi e sensazioni a lei così impegnata dal punto di vista sociale e umano.
Tutto parte da un disagio che diventa insofferenza e avversione tra i due protagonisti diversi per ambiente e formazione culturale, un gap che fa sì che Johnny Castle, affascinante maestro di ballo presso la struttura, la detesti salvo poi scoprire qualcosa di diverso, un feeling destinato a trasformarsi in sentimenti più profondi e che la giovane si scopra donna attraverso una tensione erotico-sensuale che trapela dai loro comportamenti.
La storia ha ancora una sua attualità?
Oggi sono cambiate molte abitudini rispetto agli anni ’60 quando maschi e femmine erano ancora soggetti a discriminazioni reciproche (si arriva a ricordare come in quegli anni in alcune scuole superiori i maschi fossero separati tramite nerboruti/e bidelli/e dalle femmine addirittura durante gli intervalli…) anche sul piano degli approcci affettivi.
Oggi internet, facebook, smartphone… rendono diversi i rapporti e denotano che la mentalità è profondamente mutata; restano comunque intatti la magia dell’amore e i tormenti, in particolare quelli del mio personaggio che è tormentato dal desiderio di iniziare una ‘storia’, ma è consapevole che è contro le regole…
Si è parlato di novità relative alla versione che inizia ai primi di luglio in pieno clima Expo…
Dirty Dancing non è un vero musical, ma un “dialogo-ballo cantato” per cui vi sono numeri musicali con le canzoni originali del film: ciò offre il vantaggio che si riesce meglio a interpretare la storia perché, se è vero che il canto veicola le emozioni, quando si canta si deve tenere molto viva la tensione interpretando insieme tre ruoli. Qui io recito e danzo, non canto.
Questa versione è più fedele al film e in più sono esaltati i contenuti razziali (si parla di Martin Luther King) e quella sensualità più dirty che negli anni ’60 era un surrogato della sessualità senza mutare la bellezza di una storia in cui i due protagonisti si aiutano vicendevolmente a sbocciare: lei che non è una bellezza eclatante è una guerriera – combatte animata dal desiderio di mutare il mondo – che scopre la propria femminilità grazie alla danza (veicolo dell’eros) e a lui che riceve input positivi come il coraggio di cambiare e di uscire dalla mediocrità maturando e divenendo più responsabile e sicuro di sé. L’amore li avvicina e li fa crescere insieme e ciò è meraviglioso e insieme romantico ed è alla radice del successo dell’opera di Eleanor Bergstein, autrice del film e della versione teatrale.
E dal punto di vista scenografico ci sono mutamenti?
Ritengo molto importante l’introduzione di una vera scenografia – tratta dalla cartolina del villaggio in cui è stato girato il film – rispetto alla versione precedente connotata da proiezioni con i led: ciò rende non solo più spettacolare il lavoro, ma anche più facile l’attività attoriale avendo noi punti certi cui riferirci.
Tra i cambiamenti è contemplato che nel finale tu scenda a ballare in platea, che ne pensi?
Lo trovo assolutamente meraviglioso e ne ho avuto la prova a Expo il 17 giugno scorso quando nel finale dello showcase presso l’Open Plaza dell’Expo Center in mezzo al pubblico ho riscontrato un’accoglienza fantastica e un desiderio di condividere i bei momenti.
La danza è al centro della tua vita: che cosa ti dà?
Devo molto alla danza che mi aiuta a ‘strutturarmi’ come persona.
Puoi raccontare qualcosa sui tuoi inizi e su come ha reagito la famiglia alla tua passione per il ballo?
La mia famiglia è la mia vera fortuna perché, pur avendo due fratelli e prevalendo in casa i discorsi sul calcio, i miei genitori hanno accettato di buon grado la mia scelta trasformandosi attraverso me in innamorati della danza e dispensatori di consigli a livello istintivo loro che fino alla mia decisione erano completamente digiuni in materia.
Pur avendo una propensione per il ballo, il mio inizio è avvenuto sui 12 anni quando una mia compagna mi ha chiesto di farle da partner nel folk romagnolo e sui 14 anni ho deciso di cominciare a studiare danza classica e moderna. Tale scelta mi ha fatto sentire speciale e speranzoso di fare qualcosa di valido nel settore.
Mio padre e i miei fratelli mi hanno aiutato a sognare mentre la mamma è sempre stata più concreta, comunque ho avuto la fortuna di individuare “un’urgenza innata” che sono riuscito a sviluppare.
E poi?
Poi dopo la maturità scientifica – a proposito in questi giorni migliaia di studenti stanno sudando in questa impegnativa prova e ne approfitto per fare loro tutti i miei più sinceri e affettuosi “in bocca al lupo” – ho vinto una borsa di studio al MTS (Musical! The School) a Milano che ho trovato fantastica, poi Mamma Mia con Chiara Noschese, eccezionale Maestra, e persona cui sono molto legato… fino a oggi.
E le Sorelle Marinetti?
Un’esperienza straordinaria, una vera famiglia in cui imparare e divertirsi…
Cosa pensi dell’amore, fil rouge di Dirty Dancing?
L’amore è una forza potentissima che trasmette un’energia immane, è un qualcosa in più che aiuta a modificarti e a migliorarti con maggiore facilità.
I protagonisti dello spettacolo si sono posti davanti ai propri limiti: se si sceglie di continuare ad amare, si accetta di maturare, diversamente non si cresce né come individui, né come coppia e quindi non si va avanti in modo positivo.
Che messaggio vuoi trasmettere quando sei sul palco?
Mi sento interprete quindi mi piace raccontare la verità, essere vero in un contesto finto trasmettendo comunque emozioni che colpiscono e restano.
E con questa certezza lo attendiamo il 3 luglio!