Il potere del denaro e la decadenza morale in una società senza più punti di riferimento sono al centro di Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny (Ascesa e caduta della città di Mahagonny) secondo capolavoro frutto del sodalizio artistico di Kurt Weill-Bertold Brecht che chiude la stagione in corso del Teatro dell’Opera di Roma.
Naturale evoluzione dell’Opera da tre soldi, già mirabile espressione di teatro musicale che raccoglie temi d’attualità a sfondo sociale, Mahagonny (scritto del 1930) debutta a Roma dal 6 ottobre, cinque le repliche previste fino al 17 ottobre) in un nuovo allestimento realizzato in coproduzione con il Teatro La Fenice di Venezia e il Palau de les Arts Reina Sofía di Valencia con la regia di Graham Vick (in scena a Roma con Il Ratto del serraglio nel 2011), le scene e i costumi di Stuart Nunn e l’esordio sul podio del Costanzi dell’inglese John Axelrod, già direttore principale ospite della Sinfonica Giuseppe Verdi.
“Il Mahagonny è una produzione su cui puntiamo molto, ma purtroppo non è un’opera molto rappresentata nei nostri teatri – spiega il Sovrintendente Fuortes presentando l’ultima opera del cartellone 2014/2015 – è la seconda volta che va in scena a Roma dopo il 2005 e rappresenta il secondo appuntamento dedicato ai compositori contemporanei dopo Adams e prima di Henze che inaugura la prossima stagione”.
Da un punto di vista musicale la partitura appare ricca di citazioni, ma senza tralasciare il teatro kabarett dell’epoca, affondando le radici nella Repubblica di Weimer.
“Musicalmente la musica del Mahagonny è estremamente difficile. Si tratta di un tipo di musica popolare e impetuosa che raccoglie moltissime referenze, dalla musica barocca alla musica di Mozart – spiega Axelrod – è un vero e proprio manifesto musicale, ma soprattutto politico ed economico che raccoglie tutte le emozioni e diventa un vero e proprio attore oltre ai solisti, al cast, al coro. È la rappresentazione della musica di strada, è un’opera di gente che lotta e in cui tutto è possibile”.
La regia del nuovo allestimento, in lingua originale con sovratitoli in italiano e in inglese, è affidata a Graham Vick, al suo terzo Mahagonny, la città dell’oro dove tutto è possibile, e in un mondo completamente cambiato da un punto di vista politico e morale, ma che nonostante tutto lascia non ne ha minimamente intaccato il messaggio rendendolo ancora attuale.
“Mahagonny è una delle opere con cui ho iniziato: la prima volta avevo 27 anni, la seconda è stato nel 1990 a Firenze per il Maggio Musicale. Ora sono al mio terzo Mahagonny e la società è molto cambiata: nonostante tutto il mito di Brecht e Weill sarà sempre universale: l’opposizione al capitalismo di fatto è un argomento che resta di grande attualità – racconta il regista Graham Vick sottolineando chiaramente il messaggio politico dell’opera – in un mondo dove regna solo la confusione, senza più fiducia in nulla, perso ogni punto di riferimento morale, in questo conflitto planetario, che cosa si può fare? Ciascuno di noi deve essere in grado di assumersi qui, ora e in questo momento le proprie responsabilità. Ecco lo spirito immortale di questa opera, non un’opera vera e propria, non espressione di teatro puro, ma un pezzo di teatro musicale che cita la musica dell’opera, ma anche musica commerciale e popolare, ma soprattutto proletaria e che diventa la la voce musicalmente più preponderante”.
Non manca un punto di vista inedito in questo nuovo allestimento che il regista ha voluto consolidare attraverso la presenza di un gruppo di giovani attori sul palco.
“In questo allestimento ho voluto inserire anche questo punto di vista diverso: lasciar vedere e mostrare il soggetto attraverso gli occhi di chi non ha nulla, attraverso gli occhi dei giovani che sembrano essere senza futuro e che vengono rappresentati da un gruppo di 25 giovani attori sul palco, elemento fondamentale della messa in scena – racconta Vick – È una bella sfida soprattutto per Roma che racchiude il sé il passato e la caduta”.
Se il messaggio dell’opera e l’allestimento proposto mantengono un approccio politico e universale, la partitura si configura come “ibrida” e necessita di un cast che sia all’altezza non solo da un punto di vista vocale, ma anche interpretativo con attori completi.
“Assemblare il cast di quest’opera è davvero difficile perché è necessario un tenore quasi wagneriano e ancora più difficili sono i ruoli femminili con le donne che cantano con toni quasi fluttuanti in linea con il kabarett dell’epoca, ma anche con un approccio tipicamente operistico – dice il direttore artistico Alessio Vlad – L’intero lavoro musicale deve tener conto della duplicità di questo approccio, ma anche della validità come attore dell’artista”.
Nei ruoli principali dell’opera, Iris Vermillion (Leokadja Begbick), Dietmar Kerschbaum (Fatty, der “Prokurist”), Willard White (Dreieinigkeitsmoses), Jenny Hill (Measha Brueggergosman), Brenden Gunnell (Jim Mahoney), Christopher Lemmings (Jack O’ Brien), Eric Greene (Bill, gennant Sparbückenbill), Neal Davies (Joe, gennant Alaskawolfjoe) e naturalmente il Coro diretto dal maestro Roberto Gabbiani.
Domenica 4 ottobre, alle ore 11 al Teatro Nazionale, ultimo appuntamento, stagionale con il Maestro Giovanni Bietti per la Lezione di Opera Weill e Brecht: storia di un’opera “anticapitalista”. Tutte le informazioni su operaroma.it