A distanza di dieci anni, Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny (Ascesa e caduta della città di Mahagonny) di Bertold Brecht-Kurt Weill torna al Costanzi di Roma e chiude la stagione 2015/2016 in un nuovo allestimento in coproduzione con il Teatro La Fenice di Venezia e del Palau de les Arts Reina Sofía di Valencia con la regia di Graham Vick.
Vick (al terzo Mahagonny in carriera) e Stuart Nunn (che ha curato scene e costumi) pensano a un allestimento moderno e un po’ insolito, decadente e un po’ kitsch che pur distaccandosi in un certo qual senso dall’originale (che affonda le sue radici nella Repubblica di Weimer) viene attualizzato spostando l’azione in un epoca tanto contemporanea quanto imprecisata fin dall’incipit catapultando il pubblico fra aeroporti e cartelli autostradali che indica anche la direzione per Utopia), enormi frecce di google maps, led luminosi e schermi televisivi fin dalla fuga dei tre fondatori di Mahagonny nell’ascesa di una città che vedrà presto la sua caduta.
Vick ha stravolto l’opera e fra tocchi kitsch e di classe non ha tralasciato qualche accenno al mondo del kabarett (fra abiti e atteggiamenti) tipici della Repubblica di Weimer dove affondano le vere radici dell’opera, ma ha lasciato inalterato il messaggio dell’opera che diventa ancor più politico con un inaspettato colpo di teatro con una delle proteste viste nel corso degli anni.
Di fondo Mahagonny, opera in tre atti, secondo mirabile frutto della collaborazione di Brecht-Weill, anche a distanza di cento anni (debuttò a Lipsia nel 1930) resta una geniale e irriverente satira sul denaro e sulla deriva di una società capitalista dove regna l’egoismo, un’opera squisitamente e spietatamente attuale soprattutto in tempi di congiuntura e crisi economica.
A Roma Vick poi ha inserito un punto di vista del tutto innovativo introducendo lo sguardo di 25 giovani attori che calcano il palco fino al coup de théâtre finale: dopo l’esecuzione di Jim (che finisce in un cassonetto, condannato a morte non per aver ucciso, ma per non avere il denaro per saldare un debito di gioco) a seguito di un processo show che richiama le odiose trasmissioni televisive del momento, saranno proprio a giovani a ribellarsi, a farsi portavoce di una nuova rivoluzione che invade la platea con tanto di striscioni calati dall’alto in una scena degna delle migliori proteste sociali di sempre.
Se Mahagonny non è propriamente un’opera, ma un mitico pezzo di teatro musicale, inno all’anticapitalismo, la partitura di Kurt Weill appare un grandioso ibrido fra lirica e musica popolare intrisa di canzoni che spaziano dal jazz al ragtime, fra citazioni colte e scene da kabarett che John Axelrod, direttore principale ospite della Sinfonica Giuseppe Verdi, padroneggia con scoppiettante verve.
La forza e il successo di questo avvincente allestimento sta anche nell’ottimo cast cha sfoggia grande capacità interpretativa (è sempre Brecht!) e vocale: spiccano Iris Vermillion nel ruolo della tremenda Leokadja Begbick, spietata femme fatale in nero, la suadente e formosa Jenny Hill di Measha Brueggergosman (perfetta nelle scene stile kabarett), Brenden Gunnell che interpreta Jim Mahoney, Dietmar Kerschbaum (Fatty, il Contabile) Willard White (Trinity Moses) senza dimenticare il Coro diretto dal maestro Roberto Gabbiani. Molti i giovani in sala fra il pubblico che applaude fragorosamente e apprezza la parabola di Mahagonny.
Ultime repliche per vedere l’opera, martedì 13 (ore 20); giovedì 15 (ore 20), sabato 17 (ore 18). Per informazioni: operaroma.it.