Non possiamo iniziare senza prima manifestare la nostra ammirazione per Andrea Buscemi nella doppia veste di regista e attore. Il regista Buscemi interpreta l’opera di Jean-Baptiste Poquelin in arte Molière, in modo filologicamente corretto anche se si permette di tagliare alcuni personaggi minori senza togliere all’opera l’eccezionale bellezza della scrittura. Attenua forse i toni drammatici per privilegiare la grande struttura comica del testo che stinge in smorfia, amarezza e veicola serie riflessioni sul mondo dei medici avidi e incapaci e, in generale, sui disvalori della società, sulla vita e la morte. Argante/Molière sviluppa il discorso sull’illusione della salute senza lo sgomento esistenziale che ricordiamo in altre versioni.
Il grottesco prevale sulla farsa, la comicità è bonaria e immediata. Argan tenta di esorcizzare la nevrosi della malattia, aggravata dalla natura ipocondriaca, con il ricorso alla medicina per sottrarsi al pensiero, in verità non immanente, della morte. D’altra parte la malattia certifica l’esistenza in vita quindi inganna la morte.
Se è vero che vivere è essere malati che cioè sin dalla nascita tutti siamo malati terminali è altrettanto vero, e ben si addice al nostro personaggio, quel che diceva Enzo Jannacci in “Quelli che… quelli che vivono da malati per morire da sani”.
La rappresentazione si svolge in un ambiente piuttosto asettico con una poltrona su cui siede con una serie di cuscini Argante coperto da buffe vestaglie e copricapo, un tavolino pieno di pozioni e attrezzi medicali. La stanza vuole essere la metafora della sua solitudine e la prigione della sua nevrosi/depressione.
In breve la storia.
Argante, ossessionato dalla propria salute e convinto che non ci sia nulla di più importante della medicina, ha deciso di dare in moglie la propria figlia a un medico goffo e pedante che è invece innamorata di un bel giovane. Accanto ad Argante trama la sua seconda moglie che vuole impossessarsi dell’intero patrimonio del marito. A dar man forte alla figlia c’è una serva molto determinata che convince Argante a fingersi morto. La reazione di grande cinismo e soddisfazione della moglie e la genuina disperazione della figlia lo convince a scacciare la moglie fedifraga e dare in sposa la figlia al suo innamorato, a patto però che il giovane diventi medico. Ma è ancora Tonina il deus ex machina: convince il padrone di farsi medico, perché con la sua esperienza sarà il miglior medico di se stesso. La commedia termina con un frenetico balletto di investitura che darà una nuova e diversa carica alla sua follia.
Dietro al protagonista malato immaginario, c’è Molière malato vero. E’ l’attore Molière che muore nel suo personaggio come avvenne realmente alla “Commedie Francaise” la sera del 17 febbraio 1673.
Andrea Buscemi rientra perfettamente nello stereotipo di Argan, è padrone della scena e, all’occorrenza, sa essere comicamente melenso, piagnucolone, furioso, accomodante, imperioso. E sempre misurato. È sicuramente il migliore Argante che abbia visto negli ultimi anni, un’interpretazione ricca di “misurata” varietà di toni, mimica e gestualità che mi
ha ricordato il grande Franco Parenti. Ottima prova di attrice quella di Livia Castellana che interpreta con bravura, giocando su diversi ruoli, il personaggio della serva Tonina. Lui, Argante dà corpo alla nevrosi, Tonina al sano pragmatismo. Ottima l’interpretazione di Nathalie Caldonazzo nel ruolo della moglie e di tutti gli altri attori da Martina Benedetti a Nicola Fanucchi, Simone Antonelli, Leo Giorgetti.
Belle le musiche curate da Noccolò Buscemi e funzionale l’inserimento delle canzoni francesi di Jean Gabin.