La giornata del 14 Novembre ce la ricorderemo per molto tempo, ed il motivo è conosciuto a tutti. L’angoscia ci attanaglia per ciò che abbiamo visto e sentito. La paura inizia a fare capolino nella nostra vita quotidiana e non riusciamo davvero a comprendere. Il primo impulso è quello di rinchiudersi in casa, di non esporsi e poi soprattutto di non andare a teatro. I primi motivi, anche plausibili, sono almeno due: c’è Moni Ovadia, famosissimo ebreo schierato in prima linea contro ogni forma di violenza e poi la nebbia. Per chi deve spostarsi nella cintura torinese sa che questo deterrente è davvero forte: non solo è pericoloso per la circolazione ma anche per la difficoltà di trovare la strada. Si corre il rischio di perdersi. E poi fa freddo, c’è umidità. È meglio cercarsi un filmetto poco impegnato in zona, o al massimo un concerto in qualche birreria qui vicino. Ed invece si parte, con qualche minuto di anticipo e ben intabarrati, e quando arriviamo davanti al teatro comprendiamo di avere fatto la scelta giusta. Il teatro è quasi tutto pieno, i posti liberi sono davvero pochi e siamo tutti un po’ imbarazzati. A me scappa un’impacciata frase di solidarietà verso una ragazza ed un signore francesi, di cui subito mi vergogno. Ma per fortuna arriva Moni Ovadia ed inizia con la prima strofa della marsigliese “Allons enfants de la Patrie, le jour de gloire est arrivé!…”. Senza una parola, e tutti comprendiamo subito quanto ogni cosa detta o spiegata sarebbe superflua ed inutile.
Lo spettacolo inizia e ci indica una possibile strada: quella dell’ironia, quella del sorriso, quella della ricerca a tutti i costi dell’integrazione. Che non significa arrendersi ma anzi ci costringe a cercare nuove forme e nuovi modi di porsi che non siano solo di chiusura e di violenza. È lui, in scena con quattro suonatori di musica Klezmer davvero bravi, con questa aria di povero rabbino testardo, che sprizza intelligenza e disperazione in eguale misura e ci racconta storie apparentemente leggere ma molto significative. E canta e balla per due ore senza risparmiarsi e con grande generosità. Il pubblico è rapito e consapevole che ciò a cui sta assistendo è la storia di un popolo che è all’origine di tutto ciò che ci circonda. Nel bene e nel male. E poi la considerazione che noi tutti abbiamo conosciuto l’esilio, e quindi la condizione narrata dell’ebreo errante diventa condizione universale che accomuna tutti gli uomini. Ciò ci permette di intravedere una speranza anche in una giornata così triste. Significativa la differenza fra un antisemita ed un ebreo che spiega una caratteristica di quest’ultimo: il naso grosso. Dice l’antisemita: “Gli ebrei hanno il naso grosso perché l’aria è gratis”. Invece l’ebreo: “È così perché Mosé ci ha preso per il naso per quarant’anni costringendoci ad attraversare un deserto che si attraversa tranquillamente in sette giorni”.
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CABARET YIDDISH di e con MONI OVADIA
Violino MAURIZIO DEHO’
Clarinetto PAOLO ROCCA
Fisarmonica ALBERT FLORIAN MIHAI
Suono MAURO PAGIARO