È un capolavoro una farsa che diverte ma non fa ridere né riflettere? Non si è mai vista una farsa che non abbia strappato almeno un applauso a scena aperta. Non fa riflettere perché il classico binomio brechtiano ricco- povero, padrone – servo capitale – lavoro non ci dice nulla di nuovo quindi non si può riflettere su peanutz in un mondo in cui il gap fra nord e sud, fra ricchi e poveri si allarga sempre più grazie al nuovo ordine mondiale fondato sulla new economy (la finanziarizzazione dell’economia) alla quale tutti (quelli che contano) guardano con una sorta di fideismo provvidenziale. Oggi le 200 società più forti valgono da sole il 25% di tutta la ricchezza mondiale. Dei 7 miliardi di persone che vivono sul pianeta terra 2 miliardi se la passano bene e 5 miliardi sono classificati poveri di cui 2 vivono sotto la soglia di povertà e 1 miliardo soffre di denutrizione. Le 300 persone più ricche hanno la stessa ricchezza di 3 miliardi di persone. Il modello capitalistico (dominato dalle sole regole del libero mercato) non è in grado di favorire l’emancipazione dei poveri dalla schiavitù del bisogno, di migliorarne la qualità della vita e il mercato senza etica contribuirà ad annullare l’identità dell’essere.
Dopo questo lungo sproloquio ritorniamo in teatro dove l’allegoria del capitalismo di Brecht scorre come acqua riciclata sulla nostra realtà.
Siamo di fronte a una metafora sull’antagonismo di classe nella forma di farsa satirica con un minimo effetto “straniamento” salvo nei momenti in cui vengono cantate le belle musiche di Paul Dessau arrangiate da Matteo De Mojana.
Ci troviamo di fronte alla duplicità e all’ambiguità di tanti altri personaggi brechtiani: per esempio, il Mauler della Santa Giovanna; la protagonista dell’Anima buona di Sezuan; la stessa Madre Courage anche se all’origine sta, con ogni probabilità, l’indimenticabile film Le luci della ribalta di Chaplin.
“Mr Pùntila e il suo servo Matti” è un apologo satirico incentrato sul personaggio di un proprietario terriero il quale rivela sentimenti umani solo in condizione di ebrezza alcolica mentre è crudele e brutale quando è sobrio.
La storia ci viene raccontata in una serie di quadri, siparietti, episodi che dir si voglia che si susseguono secondo una scansione temporale.
Cominciano a fare la conoscenza del grande agrario Pùntila in fase di ebrietà, quand’è pieno di grappa che dimostra al proprio autista, Matti il proprio incoercibile buon cuore e la propria irrefrenabile fraternità. Nell’episodio successivo, lo vediamo sobrio, intenzionato a offrire sua figlia, Eva, in moglie a un diplomatico stupido e squattrinato. Successivamente l’ebbro signor Pùntila si fidanza con quattro diverse ragazze di umili condizioni, ma tornato lucido le ripudia e le caccia via Poi in preda all’alcol insulta il borioso e vacuo corteggiatore di sua figlia e la offre in moglie a Matti, considerandolo molto più adeguato come genero. A questo punto Matti sottopone la ragazza a una serie di grottesche prove per significarle cosa voglia dire essere la consorte di un proletario, una donna del popolo. La commedia mantiene la sua carica sociale, il suo intento demistificatorio quando alla fine, con la presa di coscienza di Matti che rompe l’ambiguo sodalizio, Brecht fa sentire il suo ingenuo messaggio ideologico.
“Mr Pùntila e il suo servo Matti” è uno spettacolo di ottima fattura, di moderata comicità, divertente ma non (come si legge) esilarante. Il meccanismo teatrale gira alla perfezione grazie alla regia e alle bellissime scene assolutamente funzionali di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia. Gli interpreti sono bravissimi a cominciare da Luciano Scarpa nel ruolo del servo Matti, Elena Russo Arman in quella della figlia Eva (in stile bionda svampita hollywoodiana), Umberto Petranca nelle vesti del comicissimo attaché ricordiamo ancora lo splendido quartetto (recitazione e canto) composto dalle straordinarie divertenti Ida Marinelli, Corinna Agustoni, Francesca Turrini e Carolina Cametti. Come sempre eccellenti Luca Toracca, Nicola Stravalaci, Matteo De Mojana (ottimo anche alla fisarmonica e alla chitarra), impegnati in più ruoli e Francesco Baldi. Se non abbiamo parlato di Ferdinando Bruni che ha interpretato il ruolo principale di Pùntilla un motivo c’è. Premetto che, come ho già scritto numerose volte, considero quella di Ferdinando fra le più belle voci del teatro italiano. Ma questa volta l’attore dalla duttilità istrionica ha impostato questo suo strumento non su un’ampia gamma di toni come gli è congeniale, ma su un mono tono alto, roco, fra l’altro per lui molto faticoso. Le piccole sfumature tonali rendevano arduo capire quando il personaggio era ubriaco o sobrio, lo si intuiva dall’azione scenica che vedeva Pùntilla alternare un’eccessiva espansività ad una comica carogneria. Fatte queste riserve formali dobbiamo riconoscere a Ferdinando Bruni una strabordante padronanza della scena e una accentuata gestualità sempre funzionali al testo e al contesto. I costumi sono di Gianluca Falaschi, il disegno luci da Nando Frigerio, la musica dal vivo è suonata dagli ottimi musicisti Virginia Sutera, Paolo Milanesi, Carlo Napolitano, Alberto Sozzi.
Alla fine applausi insistenti e meritati agli attori e agli altri artefici del successo. A Brecht un applauso di cortesia.