Mentre la pioggia batte incessantemente, un uomo viene condotto, zuppo e sconvolto, in una stanza che sembra un bunker da uomini che indossano una divisa militare. L’uomo si dibatte e vorrebbe fuggire, ma l’incombente atmosfera di arcana ambiguità e l’ammonimento dei suoi guardiani di attendere l’arrivo del commissario, lo inducono a rimanere. L’ambiente è tetro e illuminato da fievoli luci, sulle grigie pareti scabre sono incise frasi prive di senso compiuto, l’orologio alla parete è privo di lancette, gli scaffali sono pieni di libri polverosi.
L’arrivo del commissario dà inizio a un confronto serrato che spingerà l’uomo nell’abisso della sua psiche scavando nei labirinti della memoria, fino al disvelamento finale della verità.
Glauco Mauri ha voluto realizzare questa versione teatrale dell’opera cinematografica del 1994 di Giuseppe Tornatore, incoraggiato “dalla struttura originaria dell’opera sospesa tra cinema e teatro, dall’intensità del racconto, dal suo ritmo illuminato da emozionanti colpi di scena, da una razionale e commossa visione della vita”, in cui la forza espressiva è incentrata sulla parola e l’azione si svolge in una notte. Le domande, piuttosto che le risposte, aiuteranno a ricostruire i tasselli di vita dell’uomo, tra luci e ombre, segreti e apparenti verità. Alla fine, il thriller si scioglie nell’arcano dell’esistenza: “la vita è una fuga” è uno dei graffiti sulla parete.
È sul filo di dialoghi serrati e tormentosi, ma anche disseminati di indizi, attraverso colpi di scena e picchi di suspense, che “un uomo aiuta un altro uomo a cercare di capire quel viaggio a volte stupendo e a volte terribile, ma sempre affascinante, che è la vita”.
La riscrittura di Mauri stende pennellate di viscerale umanità e di sublime poesia, che amplificano l’angosciosa e claustrofobica condizione psicologica in cui si dibatte lo scrittore Onoff, arrestato nel bosco in stato confusionale con l’accusa di omicidio, essendo stato trovato un cadavere.
Si cerca un colpevole con la pura formalità di un interrogatorio, si troverà la coscienza di un uomo, che dovrà scegliere se rimanere a vagare nel buio o approdare a una nuova consapevolezza.
Giuliano Spinelli ha ideato l’ambientazione scenografica di un luogo ottenebrante e atemporale sferzato da una pioggia ossessiva con continui blackout, che contribuisce a tenere alto il livello di tensione di questo thriller psicologico. Tutto si scioglie col baluginio delle luci dell’alba, metafora della luce della verità, che capovolge i presupposti. Le musiche di Germano Mazzocchetti amplificano lo snervante scrosciare della pioggia che fa da leitmotiv.
Glauco Mauri nel ruolo del commissario (che fu di Roman Polanski) è tanto implacabile nella volontà di smascherare il colpevole quanto umanamente comprensivo verso le amnesie e le discordanze, mutuando con modulazioni vocali ed espressive, la dialettica introspettiva e perfino maieutica che Dostoevskij estrinseca nel rapporto tra Porfirij e Raskolnikov in Delitto e Castigo. Roberto Sturno è trasognato e perso negli anfratti della mente dello scrittore Onoff (interpretato nel film da Gérard Depardieu) precipitato nella disperazione di non sapere cosa vogliano da lui persone che sembrano, tutte, portatrici di tasselli di verità: “per non morire d’angoscia e di vergogna, gli uomini sono condannati a dimenticare le cose sgradevoli della loro vita; e più sono sgradevoli più si affrettano a dimenticarle” aveva scritto Onoff in un romanzo. Gli altri interpreti, stranianti ed enigmatici, sono Giuseppe Nitti, Amedeo D’Amico, Paolo Benvenuto Vezzoso, Marco Fiore.
Un plauso a Mauri, per il triplice impegno di scrittura, regia e interpretazione che lo conferma come uno dei maestri del nostro palcoscenico.