di Alan Bennett
traduzione Ferdinando Bruni
uno spettacolo di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia
costumi Saverio Assumma
luci Nando Frigerio
suono Giuseppe Marzoli
musiche dal vivo Matteo de Mojana
con Ferdinando Bruni, Elio De Capitani, Ida Marinelli, Umberto Petranca, Alessandro Bruni Ocaña, Vincenzo Zampa, Michele Radice, Matteo de Mojana
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L’arte è un’attività umana complessa e difficile da definire. In una parola si racchiudono molteplici sfaccettature entro le quali si annidano diversi significati, tutti tesi alla ricerca dell’uomo verso la bellezza e la conoscenza. Nel testo “Il vizio dell’arte”, Alan Bennett ha incluso molte forme di questa espressione estetica dell’interiorità umana e, la Compagnia del Teatro dell’Elfo ha proposto, per la prima volta in Italia, questo poliedrico testo teatrale, andato in scena all’Arena del Sole di Bologna, affrontando ancora una volta il drammaturgo britannico dopo il successo della pièce “The Hystory boys”.
Il “Vizio dell’arte”, attraverso un gioco meta-teatrale, indaga la vita di attori, poeti, compositori scrutandone i vizi, le virtù, i capricci, i limiti e le ossessioni. Lo spettacolo mette in scena le prove di una compagnia del National Theatre in procinto di preparare “il giorno di Calibano”, un dramma che narra un immaginario incontro tra il poeta Wystan Hug Auden e il compositore Benjamin Britten, avvenuto venticinque anni dopo la loro prima collaborazione. Intorno al tema principale, costituito dallo spassoso scambio di battute tra Auden (Ferdinando Bruni) e Brittenn (Elio de Capitani) si muovono tutti gli ingranaggi della macchina teatrale: tecnici, registi, drammaturgi, comparse, ognuno con le proprie ossessioni e le proprie convinzioni, ognuno sedotto, inebriato, rapito e, allo stesso tempo, spaventato e dominato dal proprio modo di intendere e plasmare il complesso concetto dell’arte.
Elio de Capitani e Ferdinando Bruni sono magnifici nella loro rappresentazione sdoppiata, da un lato interpretano i celebri artisti protagonisti, dall’altro gli attori che stanno facendo le prove della pièce. In entrambi i casi riescono a creare personaggi ricchi di sfumature: gli attori, così fragili nel loro difficile compito di dove dare tutto, ogni volta, al pubblico, tanto che andrebbero trattati come dei bambini; e i grandi artisti da essi interpretati, con le loro fobie, i turbamenti sessuali e il desiderio di perpetuare la loro arte, nel tempo e oltre a esso.
Bennett, con la sua scrittura elegante e trasgressiva, evidenzia anche, e soprattutto, le idiosincrasie dei suoi personaggi. Degli attori ad esempio, che necessitano di continue attenzioni e sono come i soldati, “I soldati temono il nemico; gli attori temono il pubblico. Paura dell’insuccesso. Paura di dimenticare. Paura dell’Arte .“ Anche il grande poeta Auden viene spogliato di tutta la liricità della sua nobile arte e ci viene restituito come un vecchio un po’ pervertito, che paga giovani ragazzi per prestazioni sessuali, piscia nel lavandino della sua casa tenuta più come una latrina che come un’abitazione, desideroso, dopo i successi del passato, di tornare a scrivere qualcosa di valido. Questa caratterizzazione induce a una riflessione sulla poesia e il suo compositore. Molte volte si pensa che chi sia in grado di toccare vette così auliche, di entrare nella torre d’avorio, sia una persona di grande levatura morale ed etica. L’autore, con questa descrizione terrena e carnale del poeta Auden, evidenzia come l’opera e il suo creatore, molto spesso, siano due cose ben distinte, da non confondere e mettere sullo stesso piano, altrimenti si rischia di rimanere molto delusi.
Decisamente diverso è il compositore Benjamin Britten, un uomo elegante, raffinato e acclamato. In procinto di comporre “Morte a Venezia” di Thomas Mann, il maestro si reca dal suo amico storico per avere alcune rassicurazioni, mentre Auden si convince, erroneamente, che voglia essere aiutato nella stesura del libretto e vede in ciò una possibilità di scrivere, finalmente, qualcosa d’interessante. Due uomini di successo che si rincontrano proprio lì, sul crepuscolo delle loro vite, dove le cose fatte sono di gran lunga superiori a quelle da fare e i ricordi riemergono ineluttabili. E così tra reminiscenze accademiche, di esperienze e conquiste artistiche e memorie di vita e soprattutto sentimentali, di sessualità represse e tendenze tenute nascoste, la conversazione fra due istrioni della cultura diviene un magistrale battibecco, ricco d’ironia e malinconia.
Concludo evidenziando che per questo allestimento, la Compagnia del Teatro dell’Elfo di Milano si è aggiudicata il Premio Hystrio Twister 2015 e il Premio Ubu 2015 come miglior testo straniero presentato in Italia.