Sostenuto dal patrocinio dell’Ambasciata del Messico per la promozione dello spettacolo, questo testo teatrale scritto da Alessandro Prete, Igor Maltagliati e Luca Setaccioli si propone di rappresentare la vita di un’artista che alla vita si è aggrappata con tutta la forza della sua passione, esorcizzando le sofferenze del passato e confidando nelle prospettive del futuro.
Dalla vita, la pittrice messicana è stata penalizzata all’atto della nascita, con patologie fisiche che l’hanno afflitta sempre, aggravate dagli esiti del terribile incidente che le spezzò la colonna vertebrale insieme a una gamba, un piede, una spalla, l’osso pelvico oltre a trapassarla da parte a parte. I 32 interventi chirurgici sopportati e anni di immobilità non fiaccarono la sua passione rivoluzionaria, anzi ne acuirono il talento artistico che lei orientò verso la raffigurazione realistica e poi iperrealistica, della sua condizione, dipingendo se stessa in quanto “soggetto che conosco meglio”.
Introdotta sulla scena politica e culturale messicana dall’illustre pittore Diego Rivera rimasto colpito dal suo stile anticonvenzionale, lo sposò, vivendo insieme a lui anni travagliati sotto il profilo privato e pubblico, segnati dai tradimenti di lui e dagli amori collaterali maschili e femminili di lei vissuti con figure della cultura nazionale e straniera.
Molti gli autoritratti realizzati quasi ossessivamente durante l’immobilità, in cui concentra elementi realistici, visionari e folkloristici, grondanti dolore fisico e psichico, maniacalità sessuale, ossessiva nostalgia per la maternità negata.
Una donna controcorrente che ha posto l’amore per il marito e per la politica al centro dell’esistenza, attribuendosi tutti i ruoli che la vita le consentì o le negò: figlia, moglie, madre, amante, amica, rivoluzionaria, artista.
Cosa emerge di una donna e di una genialità creativa tanto fortemente definita, nell’allestimento di Alessandro Prete con l’interpretazione di Alessia Navarro? Meno di quanto ci saremmo aspettato!
Articolato in dieci quadri rappresentanti altrettanti momenti della parabola umana della pittrice messicana, lo spettacolo non riesce a scolpirne lo spessore drammatico e anticonformista, limitandosi a proporre una carrellata di istantanee sugli eventi più significativi della sua parabola umana: nascita, ricoveri ospedalieri, matrimonio, maternità sognata, tradimenti coniugali, esperienze saffiche. Spaccati di vita assemblati, quasi fotografie di un gran numero di eventi possibili, accomunati dai quadri di Frida proiettati in dissolvenza sul fondale, unica testimonianza del percorso artistico di questa donna carnale e sanguigna. Poco emerge dell’eccezionalità di un’esistenza che ha urlato la propria sofferenza dipingendo quadri che colpiscono come un pugno nello stomaco e hanno segnato l’espressione artistica messicana della prima metà del Novecento, e poco affiora anche dell’attivismo politico e della militanza femminile verso l’emancipazione.
I testi risultano piuttosto scarni e slegati e, nonostante il supporto dei versi scritti dall’artista, non ne delineano un ritratto a tutto tondo.
Brava e atletica Giulia Barbone negli intermezzi danzati, che risultano tuttavia avulsi dal contesto, una mera cornice stilistica. Gli altri interpreti sono Ivan Giambirtone e Claudia Salvatore, musiche di Stefano Mainetti, scenografie video The Fake Factory, costumi di Gisa Rinaldi, di cui soltanto un paio riferiti all’eredità iconografica che la Kalho ci ha consegnato con i suoi autoritratti.