Genere: drammatico
Regia: Pablo Larraín
Cast: Alfredo Castro, Antonia Zegeres, Roberto Farías, Jaime Vadell, Alejandro Goic, Alejandro Sieveking
Origine: Cile
Anno: 2015
In sala dal 25 febbraio 2016
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Recensione: Quinto lungometraggio del cileno Pablo Larraín – uno dei più interessanti giovani registi sudamericani – che dopo il film d’esordio (Fuga, 2005) e l’affascinante e amara trilogia sulla dittatura di Pinochet (Tony Manero, Post Mortem e No – I Giorni dell’Arcobaleno) si misura con un tema molto difficile come quello dei sacerdoti che, a causa dei reati commessi, la Chiesa silenziosamente allontana dall’opinione pubblica esiliandoli in case di ritiro. El Club – vincitore dell’Orso d’Argento all’ultimo Festival di Berlino e candidato cileno al premio Oscar per il miglior film straniero – è ambientato in una di queste strutture che sorge isolata ai margini di una cittadina vicina al mare. Vi vivono quattro sacerdoti sotto la ‘sorveglianza’ di una suora in pensione che fa rispettare il rigido protocollo di orari e regole. All’interno dello schema prefissato la vita dei quattro scorre tranquilla e ognuno ha lo spazio per seguire i propri hobby. I peccati di cui si sono macchiati e che li hanno condotti in quella casa non paiono pesare sulla loro ordinata e serena routine. A sconvolgere gli equilibri giunge un quinto sacerdote, appena caduto in disgrazia e dal passato oscuro (colpevole forse di pedofilia), la cui presenza fa riemergere dall’oblio ciò che era stato rimosso. Come ha dichiarato in un’intervista, Larraín la voglia di rispondere ad alcuni quesiti su questi sacerdoti ‘silenziati’ e sul loro tipo di vita è stata il motivo che lo ha spinto a realizzare un’impresa non facile anche per la quasi assoluta mancanza di fonti d’informazione. È stato quindi costretto a una complicata ricerca di notizie soprattutto attraverso interviste a ex membri del clero ed ex operatori religiosi per acquisire indizi su queste particolari ‘case di riposo’ e sui motivi per cui un sacerdote vi è inviato: è emerso un mondo sconosciuto in cui opera anche una congregazione internazionale (‘I servi del Paraclito’ fondata negli Stati Uniti) che negli ultimi 60 anni si è dedicata ai sacerdoti che per vari motivi non possono più esercitare la loro missione. Non si pensi, però, che con El Club Larraín abbia scelto di trattare un argomento di attualità (il doppio scandalo dei preti pedofili e della sostanziale copertura fornita dai vertici ecclesiastici prima dell’attuale Pontificato) o abbia abbandonato il filo conduttore delle sue opere precedenti: anche in questo film il tema in realtà è l’impunità di classi e individui che fanno parte di un sistema di potere. Larraín la ritiene un limite costante della società cilena, ovviamente accentuatosi a dismisura nel periodo della dittatura, ma è presente ovunque nei desideri e nelle aspirazioni di potentati economici, politici, religiosi e sociali: il suo realizzarsi è inversamente proporzionale al grado di democrazia e libertà di una società e di un Paese. El Club è quindi anche un film politico con denunce e osservazioni che vanno oltre le vicende cilene divenendo universali. Fulcro per una lettura politica è il personaggio di Sandokan, un uomo per il quale la religione ha rappresentato qualcosa che l’ha protetto, aiutato a crescere e a sopravvivere, ma che l’ha anche costretto a subire umiliazioni e a cedere, forse inconsapevolmente, ai desideri perversi dei suoi benefattori devastandolo psicologicamente. Come non leggere in Sandokan la realtà di tanti Paesi del terzo e quarto mondo prima sfruttati con la scusa di portar loro la civiltà e poi abbandonati a guardare da lontano il modello sociale tanto esaltato? El Club è un film possente che tratta senza pregiudizi e in modo umano temi scottanti, teso e coinvolgente come un thriller e si avvale di un ottimo cast illuminato dall’ennesima splendida interpretazione di Alfredo Castro.