Di Fiammetta Carena
Con Riccardo Balestra, Federico Benvenuto, Tommaso Bianco, Maurizio Sguotti
Scene e costumi Francesca Marsella
Luci e suoni Enzo Monteverde
Movimenti Davide Frangioni
Regia Maurizio Sguotti
Produzione Kronoteatro
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Pater Familias, dal titolo, fa immaginare una pièce incentrata sull’agire di un padre. Nello spettacolo di Kronoteatro, invece, della figura del padre si racconta apparentemente poco: un uomo comune, molto posato, conducente di autobus, rimasto solo con il figlio, e che ha costruito per hobby un labirinto in miniatura. Al centro del racconto, invece, le scorribande del figlio e del suo gruppo di amici, che sembrano vivere in un continuo “discotecare” senza uscita: il loro labirinto, accompagnato dalla quasi onnipresente musica elettronica delle loro serate pazze, delle quali tutto sembra far parte, anche la platea. Serate di violenza, machismo, goliardia, autoerotismo.
Nei loro brevi incontri, padre e figlio sono fin dall’inizio i rappresentanti di due mondi apparentemente inconciliabili: entrambi rigorosi nel mantenere la propria posizione ed entrambi visibilmente “portatori” di rabbia, verso qualcosa del mondo e verso l’altro. Dalla condotta del figlio, presto ci si interroga su quella del padre, che in alcuni dei momenti più preziosi del testo ricorda, parlando del suo labirinto in legno, l’importanza dell’uso delle mani. Mani per creare, mani addormentate in lavori noiosi e alienanti, sui nostri telefoni, mani usate per colpire e ferire. Chissà lui, per cosa le ha usate.
A prescindere dalle mode musicali e del vestire scelte per la messinscena, la tematica dello scontro generazionale e della mancata comunicazione tra genitori e figli è sempre attuale (negli ultimi anni poi accompagnata da un uso man mano più precoce delle tecnologie).
Qui padre e figlio si incontrano e scontrano non solo nella quotidianità, ma anche in un mondo onirico evocato dal ragazzo: un vero labirinto, con tanto di specchi, in cui al padre spetta la maschera del Minotauro. L’immagine del labirinto richiama alla mente La casa di Asterione, racconto di Borges che svela l’anima umana del Minotauro e che fa riflettere sui labirinti che ognuno costruisce intorno a sé; su come, spesso, quello contro cui ci scagliamo con veemenza non è tanto diverso o lontano da noi. Ed è proprio questo il centro tematico che vale la pena di essere esplorato: padre e figlio, come Teseo e Minotauro, sono due simili che si affrontano senza riconoscersi. Gli specchi del labirinto non bastano a mostrare la verità ai due ciechi contendenti e a far vedere loro come, non riconoscendo l’altro, non potranno essere consapevoli neanche di sé stessi. A volte, quindi, genitori e figli potrebbero riconoscersi di più, invece di intraprende lotte alla vicendevole colpevolizzazione; e così dovrebbero fare, ad ampio spettro, le generazioni che si susseguono. Troppo spesso il conflitto toglie occasioni alla condivisione o alla trasmissione di saperi ed esperienze. Troppo spesso il conflitto sostituisce la comunicazione: e questo padre è un esempio di come non cercare una via di dialogo con i giovani sia una delle forme peggiori di passività che un adulto possa adottare.
Il finale della pièce non arriva a sorpresa, ma è l’inevitabile sviluppo della situazione di partenza. Sarebbe stato forse più interessante partire da una situazione meno conflittuale, soprattutto da parte del padre, per osservare meglio e lavorare più sottilmente i confronti padre figlio, rendendo più organica l’escalation drammatica.
La regia di Maurizio Sguotti riesce a ricreare accuratamente l’atmosfera di un branco di giovani agguerriti, anche grazie alla bravura degli attori che risultano coinvolgenti e all’accurato lavoro fisico seguito da Davide Frangioni.
Una parola va assolutamente spesa a favore delle scene a cura di Francesca Marsella, che è riuscita con sei tavoloni di legno a disegnare la scena di strutture sempre diverse e azzeccate.