di e con Eric-Emmanuel Schmitt
regia Anne Bourgeois
suono Jacques Cassard, luci Laurent Béal
scene Nicolas Sire
produzione Bruno Metzger
Les Tournées du Théâtre Rive Gauche
Spettacolo in francese con sopratitoli
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“Monsieur Ibrahim et les fleurs du Coran” è uno spettacolo che si articola nella dimensione del ricordo, svelando la trama della sua tela un poco per volta: dettagli evidenti od appena accennati, diventano il leitmotiv della storia, eccezionalmente interpretata dall’autore stesso: Eric-Emmanuel Schmitt (tra i primi 10 autori contemporanei nella letteratura francese), il quale per la prima volta si cimenta nel ruolo di attore, con grande maestria e grande divertimento. Interpreta tutti i personaggi, e ad ognuno di essi riserva un’espressione, una gestualità, un carattere ed una certa dose di ironia.
Si tratta di un’opera definita come “inno alla vita”, una storia di amicizia intessuta di candore e saggezza: saggezza, quella di Monsieur Ibrahim, fatta di amore per vita, di tolleranza, di religione, intesa come ricerca di una coscienza individuale bisognosa di un dialogo diretto con il trascendente, che non si accontenta delle verità e dei dogmi rivelati e cerca altrove le risposte. Il contatto affettivo-religioso tra Monsieur Ibrahim (arabo-sufista) e Momo (ebreo), ci appare come una storia di oggi, scritta per l’oggi e per il domani. Nonostante la vicenda si sviluppi in una Parigi degli anni Cinquanta, è densa di tutti i luoghi comuni più consolidati che si conservano, sopravvivendo al tempo ed alla distruzione: la coabitazione di culture simili e diverse (unite da una condizione proletaria o marginale, divise da origini, etniche o solo religiose), regole economiche che determinavano la spinta alla solidarietà più che alla rivalità, il mito nostalgico della capitale francese costruito su odori, suoni, associazioni e rimandi.
Su questa tela Schmitt, non a caso etichettato come lo scrittore simbolo della multiculturalità del mondo e dello spirito di convivenza, dipinge la sua storia con le tematiche a lui più familiari quali appunto il taglio filosofico, religioso e l’accurata l’analisi introspettiva e psicologica dei suoi personaggi.
Ne esce una lezione di vita sulla tolleranza, sulla ricerca del mutamento umano, sull’esaltazione di qualità ormai rare: curiosità per gli altri, generosità verso il prossimo, un dare-avere che non è idilliaco ma sempre condizionato da bisogni molto precisi, dalla necessità di riempire quei vuoti che un essere umano non può tollerare, pena l’inaridimento degli affetti, l’oscuramento della fiamma della vita. Schmitt stesso ha affermato: “La tolleranza implica l’idea di uno sforzo che ci permetta di arrivare alla virtù della benevolenza”; ed infatti anche l’amore, che sembra essere fuggito dall’esistenza di Momo, si riaffaccia nella sua vita, con la forza irresistibile della sua arma più potente, il sorriso, lasciando colare via l’odio.
Quello svoltosi al Teatro di Rifredi è stato un evento prestigioso, di caratura internazionale, arrivato in esclusiva italiana a Firenze dopo il successo al Festival OFF di Avignone e prima di una lunga tournée in Canada.