di William Shakespeare
traduzione Agostino Lombardo
regia Franco Branciaroli
scene Margherita Palli
costumi Gianluca Sbicca
luci Gigi Saccomandi
con Franco Branciaroli e Valentina Violo
e con Tommaso Cardarelli, Daniele Madde, Stefano Moretti, Livio Remuzzi, Giovanni Battista Storti, Alfonso Veneroso
produzione CTB Centro Teatrale Bresciano – Teatro de Gli Incamminati
———
«Si pensa che sia una sorta di parabola sul potere, mentre non è affatto così» . Queste sono alcune delle parole spese da Branciaroli sul Macbeth e sono rappresentative della sua proposta registica e attoriale dell’opera. Più che sul primo aspetto, quindi su una visione d’insieme dell’opera stessa, sembra che Branciaroli si sia piuttosto concentrato sul secondo aspetto, quello attoriale, focalizzando la resa scenica dell’opera sull’interpretazione di Macbeth come uomo. Ne dà una versione pacatamente umana, ben distante da altre interpretazioni del personaggio, che lo vedono portatore di un’ inesauribile spinta alla violenza sanguinaria e di un estremo anelito al potere. Quello che calca le scene in questi giorni, è un uomo di potere che si lascia tentare e guidare da ciò che gli accade intorno, motivato dalla sua stessa fortuna e bravura. Una figura a tinte non chiaramente definite; un uomo disposto ad andare laddove sembra che gli avvenimenti lo portino; come se gli fosse toccato un destino e a quello dovesse attenersi, fino alla fine.
Proprio appena prima della fine, Macbeth svela la propria identità a un giovane soldato che, prima di battersi contro di lui, lo appella “diavolo”. Ma quello che abbiamo davanti non ha le fattezze di un demonio, non è un “cattivo” a tutti i costi, convinto fino alla fine del proprio potere, ma un uomo che si rassegna al proprio destino e che tenta a sua volta la sorte, fin che può.
Il tutto in una cornice scenografica nera, minimale, costituita di figure solide essenziali, che incentrano l’attenzione dell’osservatore sull’espressività degli attori.
Tralasciando la resa registica d’insieme, che può piacere o meno, quello che mi rapisce come spettatrice, e mi fa pensare che è una fortuna poter assistere a questo tipo di lavori, è la capacità tecnica pazzesca nell’uso della voce di Franco Branciaroli e la sua perizia nell’articolazione e declinazione della parola, in ogni sua sfumatura. Vederlo in azione fa riflettere sul binomio forma e sostanza, su come la tecnica possa essere fine a sé stessa o come possa invece essere riempita di sostanza umana. Cito anche Tommaso Cardarelli come esempio riuscitissimo di questo equilibrio, nella sua interpretazione fluente e viva di Macduff, all’interno di un cast evidentemente misto, per età e maturità scenica. Favoloso anche il contributo di Giovanni Battista Storti , che regala a Re Duncan un’espressività del tutto singolare.