di: Sofocle
regie di: Andrea Baracco (Edipo Re) e Glauco Mauri (Edipo a Colono)
scene e costumi: Marta Crisolini Malatesta
musiche: Germano Mazzocchetti
con: Glauco Mauri e Roberto Sturno
e con: Ivan Alovisio, Elena Arvigo, Laura Garofoli, Mauro Mandolini, Roberto Manzi, Giuliano Scarpinato
produzione: Compagnia Mauri Sturno e Fondazione Teatro della Toscana
Prima Nazionale
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La storia di Edipo è un mito senza tempo, una delle leggende più celebri della letteratura greca. Un’esistenza che si compie in un viaggio di vita – morte – vita, scritta in un periodo fra i più creativi ed evolutivi del mondo classico: gli sconvolgimenti della realtà morale, sociale e religiosa allontano gli Dei dagli uomini, i quali confusi e disorientati si impadroniscono del faticoso compito di capire le cose del mondo; ed è in questo contesto che si cala la favola del solutore dell’enigma della Sfinge, un uomo segnato già dalla nascita da un’orrenda maledizione.
Quello che va in scena in questi giorni al Teatro della Pergola di Firenze è un doppio capolavoro: “Edipo Re” ed “Edipo a Colono” sono i due testi in cui si narra un lungo cammino: due testi per due registi, due generazioni teatrali, due diverse visioni basate su un confronto costante e un profondo desiderio vicendevole di scoperta. Nel teatro di oggi, un po’ logoro di idee, l’attenzione per i grandi testi del passato e la voglia di mettersi alla prova reinterpretandoli in chiavi più contemporanee indica una strada maestra per la vitalità del teatro e per la sua stessa sopravvivenza.
La regia di “Edipo Re” è affidata ad Andrea Baracco, il quale nel suo approccio al classico sfrutta al massimo l’elaborazione degli apparati scenici e visivi, arricchendo di simbologie, dettagli e allestimenti innovativi la scena del suo Edipo. Una rappresentazione realistica e coinvolgente che incorpora palco e sala, come se quest’ultima fosse la continuazione ideale dell’ambiente scenografico (dal momento che l’entrata dei personaggi avviene direttamente dalla platea).
Nell’“Edipo a Colono”, per la regia di Glauco Mauri, abbiamo un ritorno al classico nella scelta dei costumi, ma non sfugge la sua scrupolosa competenza della fase propriamente drammaturgica, l’intensità del segno registico dove si contemperano le esigenze dell’intelletto e dell’emozione e soprattutto la creatività sempre nuova e ponderata della recitazione, con un Mauri potente e solenne, che assiso su un trono di “pietra” riempie tutta la scena.
Il primo dramma è la rappresentazione della parabola tragica del protagonista, la scoperta del suo destino e l’inizio del suo peregrinare per terre straniere: la tragedia scende nell’inferno della carne di Edipo, che si arrende davanti a una forza che lo sovrasta, e che pone in primo piano il problema filosofico fondamentale: il senso della verità dell’essere. Il re di Tebe, continua infatti, a vivere in sofferenza, accecandosi per entrare nel buio e non vedere più quella verità che fino ad allora non aveva riconosciuto, una verità orrenda e impossibile da accettare perché gli mostra un altro sé, la verità della condizione dell’uomo che sfugge ai sistemi del suo intelletto: occorrerà ad Edipo un lunghissimo viaggio nel dolore per arrivare, vecchio e cieco, a capire che l’uomo è responsabile solo delle azioni che lui ha voluto compiere: nell’intenzione dell’uomo sta la sua libertà e indipendenza, ed è nell’accostamento con il secondo dramma che egli stesso si assolve, completando il mistero di una condanna che è, nella morte, un’assoluzione, poiché risalta la grandezza dell’uomo. Sofocle, riprendendo in mano il suo “eroe” dopo 20 anni, lo fa morire dolcemente: “senza il dolore del male se n’è andato Edipo, un mistero accaduto tra gli uomini”. Come diceva Hölderlin nell’epigramma dedicato a Sofocle “Molti tentarono – invano – di dire con gioia ciò che più è gioia: qui, finalmente, nel lutto, si esprime”: nella morte, Edipo, risplende nel modo più puro, è un eletto.
È quindi nell’interrogarsi che poeticamente vive e compiutamente si racconta la favola di Edipo alla ricerca della verità.
Affermava Glauco Mauri alla presentazione della stagione teatrale della Pergola: “Grandissima e stupenda responsabilità è quella di raccontare delle favole, favole che parlano della nostra vita: e questo ci dà fiducia anche nel teatro, in questo teatro che con il divertimento, con la cultura e con la poesia, può aiutare l’uomo a tentare di comprendere quel viaggio a volte bellissimo, ma a volte anche faticoso che è la vita. Credo che il dovere di un uomo di teatro sia quello di dover essere utile alla vita, perché come diceva Brecht: “tutte le arti contribuiscono all’arte più grande di tutte: quella di vivere”. Il teatro è una di queste arti, che può anzi, deve contribuire all’arte della vita.”
La Compagnia Mauri Sturno è riuscita a contribuire alla nostra vita meravigliosamente.