di Cristina Comencini
Con Giulia Michelini, Paola Minaccioni, Giulia Bevilacqua, Caterina Guzzanti
Scene e disegno luci: Nicolas Bovey
Costumi: Gianluca Falaschi
Regia: Paola Rota
Durata: 1h 40′
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“Se qualche anno fa mi avessero chiesto di venire a vedere uno spettacolo così, avrei detto con certezza assolutamente no.”
“Avresti detto di no a qualsiasi spettacolo, Max.”
Lui scuote la testa, punto sul vivo.
“Sarà… ma mi è piaciuto. Il testo era molto interessante, loro molto brave…ma Giulia non è quella che fa la cattiva in squadra Antimafia?”
Annuisco insoddisfatta della sua breve recensione.
Max ha il dono di sintetizzare ogni cosa, mentre io devo sempre farcire il ragionamento di descrizioni minuziose. Sono una donna, in fondo.
Parlare di emozioni è come parlare di motori per un meccanico.
Così inizio a esporgli le mie impressioni sullo spettacolo. A onor del vero non mi era completamente sconosciuto: devo averlo visto, con un altro cast, su Rai 5 (ad un orario improponibile per chi conduce una vita sana). Per cui, partivo già piuttosto avvantaggiata rispetto al povero ignaro Max. Il gioco di ambientare il primo atto negli anni Sessanta e il secondo nella contemporaneità, con le figlie dei personaggi visti nella prima parte, non poteva di certo sorprendermi. Ciò che mi ha sorpresa è stato, invece, il sapiente intreccio drammaturgico, per niente scontato o prevedibile. L’idea geniale della Comencini è, non solo nel mostrare madri e figlie, ma soprattutto nel fatto che le tematiche di un atto vengano ripresentate nel secondo, spesso ribaltando i punti di vista, inserendo molti spunti di riflessione su come la vita delle donne sia paradossalmente cambiata molto e per niente. Come a rivelare, in modo sublime, che,quando si parla di donne, le generalizzazioni non possono essere fatte. Che non esiste un solo modo di affrontare il parto, la maternità, l’amore, il tradimento, il sesso..ma almeno quattro, cinque, cento, mille maniere differenti. Il tutto, condito da grande ironia che permette di cogliere aspetti anche divertenti di situazioni oggettivamente dure, dando così più luce al contrasto sempre molto difficile da ricreare tra dramma e commedia. Un testo che andrebbe stampato ogni giorno e venduto coi quotidiani. Un testo che ogni uomo dovrebbe leggere prima di andare a dormire. Perché, certo, le protagoniste sono donne, ma gli uomini sono sempre tirati in ballo come elemento di confronto, di supporto, di fragilità e di attrazione. Come nella vita, infondo.
“Quindi ti è piaciuto?” mi chiede Max dopo un lungo sorso di Weizen.
“Non lo so ancora. A te non è sembrato che ci fosse qualcosa di strano nel primo atto? Sembrava tutto o troppo esagerato o troppo poco teatrale.”
“Sì. Devo dire che ci ho messo un po’ ad entrare nella storia..ma forse è colpa nostra. Abbiamo mangiato un sacco al Cinese, come al solito”
“Ma che c’entra il Cinese?”
“La digestione è importante, sai.”
Lo guardo.
“O magari…” continua Max “ Saranno state le attrici?”
Mi invipero come non mai. Appena qualcosa non va, si punta il dito sugli interpreti. E se sono donne, ancora meglio! Dopo spettacoli su spettacoli in cui il cast è formato all’ottanta per cento da uomini, al primo progetto solo di donne, tutti siamo subito pronti ad accusarle di non essere in grado?
Ma, poco prima di sciorinare questo comizio femminista, mi blocco, ci rifletto ed ecco l’illuminazione
“No. Io credo che non fossero le attrici il problema, ma le indicazioni che gli sono state date. Non sentivi che non si rispondevano veramente le une con altre? Che erano come cristallizzate in macchiette di casalinghe anni Sessanta come in Happy Day? Infatti la parte drammatica faceva difficoltà ad uscire fuori all’inizio. C’erano buchi, pause sostenute da nessuna tensione. I corpi e le movenze erano da donne di questi tempi. Non erano credibili, mente nel secondo atto, sì.
Sai cosa penso ogni tanto?
Che a volte si confonde il Teatro con il Cinema.
I tempi, le tecniche, le pause, che in un mondo funzionano, non possono andare bene anche nell’altro. È come se tu andassi in Spagna pretendendo che, chi è là, capisca l’Italiano. Certo, alcune parole si assomigliano, ma sono lingue diverse. Ha senso, secondo te, quello che dico?”
Guardo Max che sta osservando dei passanti fuori dal pub. Ci risiamo, fa sempre così quando arrivo al vivo di un discorso. Forse è l’ora di tornare a casa, faccio per alzarmi.
“Sai cosa sarebbe bello? Vedere questo stesso spettacolo tra dieci anni…dove la prima parte viene ambientata negli anni ’90 e la seconda, non so, nel 2035.”
Sì, sarebbe bello. E sarebbe ancora più bello che nel 2035 la platea fosse piena di giovani abbonati che se la ridono e se la piangono assieme ai meno giovani abbonati. Perché, come nel testo della Comencini, tra generazioni ci sono dei passaggi di testimone, volontari o no. Sarebbe davvero deludente che ci si passasse solo cose brutte. Certo, non puoi scegliere che DNA avere, ma in compenso puoi scegliere come usarlo.