Vedere a teatro uno spettacolo scritto da Pasolini, oggi, è quasi come osservare una bellissima foto sbiadita, raffigurante un’umanità del tutto simile a quella che osserviamo in sala, eppure così profondamente diversa.
Avete presente l’effetto che fanno le vecchie foto della vostra infanzia, dove sapete di essere voi, assieme ai vostri genitori, ai vostri parenti, ai vostri amici d’infanzia, ma in qualche modo capite che quelle persone non esistono più, perché oggi sono profondamente diverse?
Eppure, se non fosse per i sembianti di queste vecchie foto così affascinanti, quegli stessi individui non sarebbero oggi ciò che sono divenuti. Così le opere di Pasolini hanno saputo, con sguardo attento, fotografare una società italiana oggi inequivocabilmente mutata dopo la globalizzazione, il berlusconismo, l’era del web 2.0. Dei meravigliosi ritratti ingialliti di qualcosa che non esiste più ma che, allo stesso tempo, fa parte di noi.
Parole come ‘rivoluzione’, ‘borghesia’, ‘conformismo’, oggi hanno un significato completamente diverso, ma ci aiutano a capire chi siamo e, forse, ci spingono a chiederci dove vogliamo andare.
Così Julian, ragazzo emarginato, problematico, che ama fare sesso con i maiali, ci restituisce, proprio grazie alla sua posizione di distacco rispetto alla società, un’immagine brutalmente realista di essa: “io non ho opinioni […] mi sono accorto che anche come rivoluzionario, restavo conformista”.
E cosa, più di questa immagine sbiadita “scattata” nel 1967, può aver anticipato di qualche decennio quello che accade oggi?
Eppure nel porcile c’è molto di più: c’è una critica feroce alla borghesia di quegli anni, rappresentata dai genitori dello stesso Julian, c’è tutto il malessere di Pasolini per la sua omosessualità mai accettata da un’Italia che ancora oggi non è pronta e forse non lo sarà mai, ma anche una critica al comunismo, “niente di ciò che è di tutti è mai stato mio”.
Ciò che manca nel testo sono le soluzioni e le assoluzioni. Alla fine tutti sono condannati, carnefici volontari o inconsapevoli dell’unica vittima sacrificale, ovvero dell’unico che in qualche modo si interroga su ciò che accade nel mondo, tanto da restare paralizzato dallo sgomento di una consapevolezza tremenda: Julian, sbranato dagli stessi maiali con i quali amava avere rapporti sessuali.
Sul palco abbiamo visto un bravissimo Francesco Borchi nel ruolo del protagonista, intenso e disturbante al punto giusto, accompagnato da un cast davvero apprezzabile in tutte le parti: a partire da Mauro Malinverno (nel ruolo del padre), Valentina Banci (nel ruolo della madre) e Elisa Cecilia Langone (nel ruolo dell’amica Ida).
La regia di Valerio Binasco e le scene di Lorenzo Banci sono essenziali ma funzionali allo svolgimento del dramma, senza fronzoli stilistici puntano tutto sull’empatia e le capacità degli attori.
Purtroppo il pubblico in sala non era così folto, ma sicuramente ognuno dei presenti sarà uscito per tornare a casa arricchito con una piccola perla poco conosciuta, regalataci da uno degli autori più controversi e geniali dell’Italia moderna.
La recensione si riferisce alla recita di domenica 5 febbraio 2017.
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Porcile
di Pier Paolo Pasolini
Regia: Valerio Binasco
Scene: Lorenzo Banci
Costumi: Sandra Cardini
Musiche: Arturo Annecchino
Luci: Roberto Innocenti
Personaggi e interpreti:
Padre: Mauro Malinverno
Madre: Valentina Banci
Julian: Francesco Borchi
Ida: Elisa Cecilia Langone
Hans-Guenther: Franco Ravera
Herdhitze: Fulvio Cauteruccio
Maracchione: Fabio Mascagni
Servitore di casa: Pietro d’Elia