Venerdì 24 febbraio l’intima cornice del Piccolo Teatro Comico ha ospitato il dramma-confessione CinQuanta – Un’occasione come un’altra di Paolo Agazzi, dopo appena due settimane dalla prima, in scena al Teatro Blu di Buriasco. Un tempo molto breve per una replica, considerando che la gestazione dello spettacolo può essere commisurata all’intera esperienza dell’autore cinquantenne, riflettendone idee, dubbi e considerazioni maturate in mezzo secolo.
Sulla scia del teatro di Antonello Panero, regista di questo spettacolo in dieci episodi, il primo testo scritto e interpretato da Agazzi appare come una confessione dell’attore alla platea: più che interpretazioni di singoli personaggi, le parole del testo incarnano punti di vista diversi sulla vita, nel bene e nel male, e sul teatro, che diventa spunto di riflessione sulla vita stessa. Come da sottotitolo, è l’occasione, o meglio la pretesa, per scatenare un silenzioso dibattito, nell’atmosfera particolarmente indicata del Piccolo.
La domanda che lo spettacolo insinua nello spettatore è precisa e inevitabile, ragionevolmente priva di una risposta univoca: i personaggi che si susseguono sul palco sono l’attore? Esiste davvero una distinzione tra il primo, l’Agazzi irato e furibondo che inveisce contro un ideale interlocutore in platea, e l’ultimo, l’Agazzi che a mezzo secolo di vita sostiene la perseveranza di un senso di bellezza – e di beatitudine – nonostante le contrastanti premesse della vita di ciascuno?
L’intento registico di caratterizzare marcatamente ognuno dei dieci personaggi si esprime fin da subito nella scelta di “vestirne” i panni: durante gli intermezzi accompagnati da una colonna sonora che deve aver cadenzato le esperienze dell’attore, i personaggi vengono sollevati dall’attaccapanni, unico oggetto di scena, e “indossati”: Agazzi, l’attore, rimane attore a cui spetta il privilegio di cambiare ruolo cambiando abito, vagliando diversi punti di vista sugli incidenti o sulle fortune che capitano a chiunque.
Ad accomunare i personaggi e le storie che raccontano è il tema della follia: il classico dilemma dell’attore che cerca la propria effettiva identità in quelle fasulle dei personaggi che interpreta. Ridendosi addosso, Agazzi, il personaggio, mischia registri e intenzioni contraddittori, in piena tradizione da teatro dell’assurdo. Parla di amarezza, delusione, sfiducia, appellandole come felicità, ottimismo, serenità, occasione per inserire in un linguaggio metateatrale la mania di persecuzione di chi, attore o personaggio, mantiene la consapevolezza della finzione vissuta.
Qui si trova la necessità di negare qualunque flusso coerente a una drammaturgia episodica: come i brani che accompagnano gli intermezzi, gli episodi stessi sono indipendenti gli uni dagli altri, gli svariati generi musicali non sembrano avere niente a che fare gli uni con gli altri se non nella mente dell’autore che li ha inanellati, a fare da sfondo agli episodi.
L’ultimo di questi chiude lo spettacolo con un messaggio di incoraggiamento, tanto all’attore/personaggio per se stesso quanto allo spettatore: il teatro non è, o comunque non soltanto, luogo “rituale o magico”, quanto piuttosto un’opportunità di confronto e scambio tra persone. Una personale tracklist di esperienze.
Con autentico ottimismo, Agazzi dichiara la propria idea di “teatro” come l’occasione di una definizione di sé nell’osservazione dell’altro.
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CinQuanta. Un’occasione come un’altra
Di e con Paolo Agazzi
Regia di Antonello Panero