Stefano Massini, autore attento ai temi sociali contemporanei, con una drammaturgia tutta di parola affronta le problematiche di una società multirazziale che tenta, maldestramente, di realizzare un’integrazione culturale.
Il testo, che attinge anche all’esperienza personale dell’autore studente in una scuola di periferia di Firenze, è stato scritto dopo gli attentati di Parigi, ispirandosi alla testimonianza raccontata anni prima da un’insegnante francese, come nuova produzione per il Teatro Stabile dell’Umbria.
La vicenda è ambientata in una scuola della banlieu di Les Izards a Tolosa, paradigma di una realtà in cui coesistono famiglie di variegate comunità etniche e religiose che faticano ad assimilare gli orientamenti culturali del paese ospite.
Il professor Ardeche, docente di materie letterarie, descrive la sua classe come “una scatola di intonaco con dentro 26 occhi che mi guardano e le luci al neon sul soffitto sono segmenti paralleli che formano un uguale”. Ai tredici ragazzi, mescolanza di razze e lingue, il professore affibbia un soprannome esemplificativo del carattere e del comportamento. Ecco allora Raffreddore, Fuggipresto collocato accanto alla porta e Panorama vicino alla finestra, Primobanco, l’Invisibile, il Boss e il Bodyguard, la brava Campionessa, il Falsario, il Rassegnato, il Missionario, la Cartoon con la faccia da fumetto e l’Adulto con atteggiamenti da grande. Questi tipi umani restano disaggregati rivelandosi impermeabili alla bellezza dell’arte e della poesia, relegando l’insegnante nella sua solitudine intellettuale a coltivare l’amore per Rabelais, Voltaire e Baudelaire.
Disincantato e disilluso, il professor Ardeche riceve le famiglie il giovedì dalle 11 alle 12, l’aula diventa cassa di risonanza di tensioni sociali e conflitti familiari che gli imprevedibili personaggi scaricano sul malcapitato insegnante: il padre musulmano che chiede l’annullamento del tema della figlia sulla religione, quello che non vuole pagare i danni arrecati dal figlio, un altro che non gradisce il compagno di banco di diverso credo religioso e quello che rifiuta l’uso della lingua francese esprimendosi in arabo con la traduzione simultanea della moglie.
In questo patchwork di nomi e lingue (nordafricani, mediorientali, indiani, polacchi ecc.), Ardeche sviluppa una frustrazione che sfocia nel cinico disincanto da contrapporre all’entusiasmo didattico del supplente di matematica. Spassosissima, pur nella realistica disamina dei limiti religiosi, è la difficoltosa scelta del menu per la gita scolastica, che non riesce a conciliare le contrapposte esigenze alimentari di cristiani, musulmani, ebrei e indù.
Un mosaico di caratteri, tratti somatici e credenze religiose che si compone nel corso dell’anno, mentre oltre la vetrata della finestra le stagioni si susseguono con la perdita delle foglie e la fioritura dell’albero.
Lieve e naturalistica è la recitazione di Fabrizio Bentivoglio, scettico eppur comprensivo, metafora dell’uomo occidentale che, posto di fronte all’incombente internazionalizzazione del proprio contesto ambientale, si sente inadeguato. Nel finale, l’amara consapevolezza dell’impossibilità di coagulare istanze diverse, induce Ardeche ad ammettere il proprio fallimento umano ed educativo, applicando un modello non adatto ai tempi.
Gli alunni, sempre evocati, non entrano mai in scena. Nel ruolo dei familiari gli attori della Compagnia dei Giovani del Teatro Stabile dell’Umbria: Francesco Bolo Rossini (il supplente), Giordano Agrusta, Arianna Ancarani, Carolina Balucani, Rabii Brahim, Vittoria Corallo, Andrea Iarlori, Balkissa Maiga, Giulia Zeetti, Marouane Zotti.
La regia di Michele Placido è poco invasiva, lasciando ampio margine all’interpretazione.
Una commedia dolceamara da non perdere, per sorridere riflettendo su un tema centrale in questo frangente storico.