È una storia che parla di onore e di coraggio, di un’ostinazione caparbia che non accetta di essere schiacciata e di un mare che sa essere tiranno, di speranze e disperazioni quella in scena all’Elfo Puccini di Milano dal 14 al 19 marzo.
Enrico Guarneri quest’anno ripropone per il teatro un capolavoro intramontabile della nostra letteratura: “I Malavoglia”. L’attore siciliano, che già in precedenza si è confrontato con il padre del verismo italiano dando voce ad un sorprendente “Mastro Don Gesualdo”, qui veste i panni di un altro protagonista assoluto del Ciclo dei Vinti: Padron ‘Ntoni. È emozionante veder prendere vita sul palco i personaggi di cui abbiamo letto, ai quali ci siamo affezionati, con i quali, da ragazzini, abbiamo fantasticato. La magia può avvenire però solo se chi racconta dal vivo un testo ha la capacità di incantarci. E Guarneri, come aveva già dimostrato, ci riesce di nuovo, anche e ancor di più per merito degli interpreti che recitano al suo fianco.
Gli attori riescono infatti a riprodurre in scena un’atmosfera tale da provocare coinvolgimento emozionale nel pubblico e, allo stesso tempo, anche a creare una dimensione fortemente realista, così come nel romanzo, grazie soprattutto alla gestualità, alle movenze e al dialetto siciliano.
Se il protagonista assoluto del romanzo e della pièce è Padron ‘Ntoni, la storia non racconta solo di lui, è di tutti, di una famiglia, di un paese; è una narrazione corale quella che si snoda attraverso le due ore di spettacolo. Non esiste un unico centro, nessuna esclusività, nessun segreto; tutti si conoscono, sparlano, giudicano, le notizie volano di bocca in bocca ad Aci Trezza, un piccolo e caratteristico mondo a sé, chiuso in una dimensione ancora fortemente religiosa e quasi superstiziosa, sul quale il vero padrone è il mare. Ed è proprio il mare che diventa elemento essenziale del testo, principio che scandisce gli avvenimenti decisivi sul palco: sono le tempeste che travolgono i pescatori o i soldati al largo delle coste a provocare i veri cambi di azione, il mare che “ruggisce” produce perdite (di affetti e di beni materiali), quindi la fine delle speranze e la necessità di trovare nuova forza per andare avanti. La voglia indomita di fronteggiare ogni avversità con cui Padron ‘Ntoni, nonostante l’età e gli acciacchi, reagisce e con cui trascina dietro di sé i membri della sua famiglia è ciò che dà la spinta necessaria ad una narrazione altrimenti troppo pietistica e sconfortante. Ciò che ha fatto Verga è annientare ogni illusione, ma molti dei suoi più celebri personaggi sono fieri e cocciuti ed è per questo che nel testo, e per fortuna anche nella rappresentazione teatrale, si evidenzia quanto Padron ‘Ntoni non ceda alla rassegnazione o non si lasci ingannare dalle scorciatoie, sebbene non viva di sogni.
Il mare è presente, in maniera indiretta ma continua, anche nelle scelte scenografiche: il palco diventa all’occorrenza la barca su cui Bastianazzo perde la vita o la “Provvidenza” che torna a riva con un carico eccezionale di sardine, il litorale su cui passeggia l’ancora innocente Lia vagheggiando l’amore, prima di concedersi a Don Michele. Con pochi accorgimenti tecnici come una vela spiegata al centro del palco o attraverso giochi di luce ed ombre, siamo condotti nei diversi ambienti; entriamo nella casa del Nespolo, nello studio dell’avvocato Scipioni, all’interno dell’osteria dove ‘Ntoni e Rocco Spatu perdono le loro giornate tra progetti in nome di una vita spensierata e azioni di malaffare.
La riduzione drammaturgica di Michela Miano non trascura nulla; tutte le vicende fondamentali del testo verghiano vengono riproposte fedelmente, ora con momenti narrativi estesi e dettagliati, ora solo mediante rimandi o accenni. Ma ciò che sicuramente la rappresentazione teatrale non tralascia è la dimensione più profonda e intensa della storia, quella che diventa il vero motore di ogni azione: il cuore. Un cuore a volte stanco, altre speranzoso, pieno di dolori o ricolmo di coraggio, ma mai disposto a non risultare protagonista. Le tensioni familiari, la ricerca di riscatto di ‘Ntoni, la voglia di un amore vero e puro tra Alfio Mosca e Mena, il senso del dovere e di famiglia di Padron ‘Ntoni, il dolore tremendo di Maruzza sono così presenti in scena da diventare quasi i soggetti della rappresentazione. Ogni personaggio, in effetti, già nel libro è fortemente caratterizzato e si muove secondo un preciso modus operandi, non compie azioni inattese o sorprendenti; ognuno segue con insistente coerenza una traiettoria ben definita, dritta, senza sbavature, dall’inizio alla fine. È per questo che i sentimenti non possono essere uno sfondo sbiadito su cui si intreccia la storia, ma sono la storia; diventano l’anima, la forza e la motivazione che spinge ad agire in un modo piuttosto che in un altro. Ed è chiaro anche e soprattutto quando, in chiusura, il saggio Padron ‘Ntoni si sente smarrito dopo esser diventato “forestiero” nella sua Casa del Nespolo, aver saputo di ‘Ntoni in prigione e di Lia che per vivere si prostituisce. Il vecchio capofamiglia non può aggrapparsi se non a quanto ha di più caro, i ricordi e il senso della famiglia; è per questo che si danna, non accetta la realtà e cade in uno stato degenerativo che lo porta a ripetere di continuo proverbi su proverbi, quelle sentenze che lo hanno accompagnato durante tutta la sua esistenza, che rappresentano la sua scuola di vita, la sua filosofia antica e primigenia.
Eppure una chimera, in un momento di incoscienza, è concessa anche a lui quando, guardando malinconico verso la casa che era stata il centro palpitante dei suoi affetti, si rivolge alla nipote dicendo “Mena, il nespolo lo vedi? Sta mettendo le foglie nuove. Voi ci tornerete da padroni”. E, quasi in forma di previsione, Padron ‘Ntoni non sbaglia nemmeno questa volta. La casa verrà ricomprata da Alessi, che andrà a viverci con la donna che ama, Nunziatina, e con Mena. Solo ‘Ntoni non avrà il cuore di tornarci quando finalmente avrà capito il significato profondo e simbolico che quella famosa dimora da lui in precedenza tanto odiata, riveste.
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I MALAVOGLIA
da Giovanni Verga
rielaborazione drammaturgica Micaela Miano
regia Guglielmo Ferro
con Enrico Guarneri (Padron ‘Ntoni), Ileana Rigano (Maruzza), Vincenzo Volo (Agostino), Nadia De Luca (Lia), Rosario Minardi (N’toni), Francesca Ferro (Mena), Rosario Marco Amato (Bastianazzo/Rocco Spatu/Avvocato Scipioni), Vitalba Andrea (La Mangiacarrubbe), Mario Opinato (Mastro Turi), Turi Giordano (Don Gianmaria), Pietro Barbaro (Zio Crocifisso), Giovanni Fontanarosa (Don Fortunato Cipolla), Giovanni Arezzo (Alfio Mosca), Gianmaria Aprile (Alessi Bambino), Verdiana Barbagallo (Nunziata), Gianni Sinatra (Luca)
produzione Progetto Teatrando