di Bertolt Brecht
regia Ferdinando Bruni e Francesco Frongia
con Ferdinando Bruni, Luciano Scarpa, Ida Marinelli, Elena Russo Arman, Corinna Agustoni, Luca Toracca, Umberto Petranca, Nicola Stravalaci, Matteo De Mojana, Francesca Turrini, Francesco Baldi, Carolina Cametti
musiche originali Paul Dessau
arrangiamenti Matteo De Mojana
suono Giuseppe Marzoli
violino Virginia Sutera
tromba Paolo Milanesi
trombone Carlo Napolitano
clarinetto Alberto Sozzi
collaborazione agli arrangiamenti Leo Einaudi
traduzione Ferdinando Bruni
costumi Gianluca Falaschi
luci Nando Frigerio
foto di scena Laila Pozzo
progetto grafico Plumdesign.it
produzione Teatro Dell’Elfo
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È una delle opere più famose di Bertolt Brecht. La più rappresentata dopo “L’Opera da tre soldi”. Ovunque tranne che in Italia. A colmare questa lacuna ha provveduto la compagnia di teatro Elfo Puccini che, per la terza volta in Italia, mette in scena la celebre commedia del drammaturgo tedesco, “Mr Pùntila e il suo servo Matti” scritta nel 1940 e rappresentata per la prima volta nel 1948, quando Brecht in Europa dopo il lungo esilio negli Stati Uniti, prima a Zurigo e, l’anno successivo per l’apertura di stagione del Berliner Ensemble. Andata in scena all’Arena del Sole di Bologna, la commedia vive nuova vita grazie alla regia di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia che curano anche la bellissima messa in scena.
Un personaggio, quello di Mr Pùntila, carico di fascino e ambiguità che si manifesta proprio nella sua doppiezza che, per stessa ammissione dell’autore, ricalca un personaggio celebre dell’epoca, come il mitico protagonista di “Luci della città”, uscito nel 1931. L’eccentrico milionario interpretato da Charlie Chaplin in uno dei suoi più celebri film è un uomo d’affari allegro e prodigo con le persone a lui vicino quando è ubriaco, per poi divenire, da sobrio, cinico e avaro. Proprio come questo celeberrimo personaggio, anche Mr Pùntila è un proprietario e imprenditore milionario che sfoggia due facce contrapposte tra loro: magnanimo, docile ed espansivo quando è in preda ai fumi dell’alcool, un vizio di cui non riesce proprio a fare a meno, diventa, una volta sobrio, cinico, isterico e, soprattutto, crudele con i suoi operai, sui quali scarica tutta la rabbia e cattiveria. Una contrapposizione vecchia come il mondo, quella tra il bene e il male, che qui è incarnata in un unico personaggio, messo in scena da Ferdinando Bruni, che riesce, con la sua bravura da capocomico, a tessere le fila dell’opera e a trascinare la compagnia in questo vortice di cambi di situazioni dovuti al suo stato d’animo.
Anche sua figlia Eva (Elena Russo Arman) dovrà sottostare alle continue ambivalenze del padre che, nei momenti di lucidità, le impone di sposare un diplomatico sciocco e stolto (Umbero Petrarca) mentre da ubriaco la sua magnanimità si riversa anche sulle sorti della figlia e, consapevole di condurla all’infelicità le propone, con la vodka nel sangue, di sposare il suo servo Matti (Luciano Scarpa) un uomo energico e vigoroso, pieno di fascino e senza un quattrino.
Lo spettacolo è pensato in modo egregio e ogni ingranaggio è indispensabile per la riuscita del meccanismo teatrale, reso al massimo grazie alla regia e alla bellissima scenografia di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, agli interventi musicali, con i quali si tirano le fila della storia, su musiche originali di Paul Dessau, riarrangiate da Matteo de Mojana che in scena suona anche numerosi strumenti. Insieme a lui, la musica, è eseguita dal vivo da altri, ottimi, musicisti: Virginia Sutera, Paolo Milanesi, Carlo Napolitano, Alberto Sozzi.
La scenografia si compone su diversi piani e rappresenta un affresco bucolico del secolo scorso. Sulle pareti, ai lati, sono raffigurate mucche squartate, un’allegoria non solo visiva ma anche enunciata nelle parole del testo: “Pensa che se le mucche potessero discutere ci sarebbero ancora i macelli?”. Tutto lo scenario del fondo palco e coperto da un secondo sipario, una grande tenda sottile posta sul proscenio, raffigurante una grande banconota da un dollaro emesso dallo stato di Puntiland, che (s)vela ciò che accade dietro di essa. Nella parete di fondo campeggiano scritte luminose, stile film muto, che anticipano alcuni momenti e luoghi della storia. Il tutto è supportato dai bellissimi costumi di Gianluca Falaschi e dal disegno luci da Nando Frigerio.
Ottima l’interpretazione di Ferdinando Bruni nella sua padronanza scenica e nella gestualità esasperata ma contestuale, che dona sfumature comiche e grottesche al suo personaggio nei momenti di ebrezza e invece aggressività e cinismo nei momenti di lucidità. Meno convincente il risultato, in quest’occasione, della performances vocale, nella quale si sono colte meno tutte le sfumature del personaggio e la sua doppiezza, previlegiando un registro un po’ urlato e troppo veloce nell’esposizione che, a tratti, rendeva difficile la comprensione.
Quello che manca alla riflessione sul Bene e il Male proposta da Brecht in questa pièce sono tutte le nuance che si nascondono dietro una visione, troppo manichea, delle contraddizioni dell’essere umano. A rendere quest’opera attuale, tuttavia, è l’immenso divario che, oggi più che mai, c’è tra ricchi (sempre meno) e poveri (in continua crescita) che crea grandi disagi in ogni angolo della Terra. Difficile non rivedere, tra le battute sarcastiche e il cinismo, a volte barbaro del personaggio, la società capitalistica vista proprio nella sua caratteristica principale: quell’ambivalenza nella quale sembra che tutto sia concesso ma dove, in realtà, nessuno è veramente libero. E, se si vuole veramente fuggire da questa schiavitù, si deve fare proprio come il servo Matti sul finale della pièce, ovvero abbandonare ciò che seduce ma imbriglia. Andare contro per difendere la libertà.