La primissima impressione che si riceve mentre si assiste a “Drama Sound City” è quella di trovarsi davanti ad un lavoro ricercato, condotto a partire da un progetto di spettacolo in cui l’idea di partenza viene sottoposta ad un processo di manipolazione ed astrazione, fino ad incontrare il suo punto di coagulo più denso. È un dato importante, anche se solo il più immediato, perché costituisce un antidoto salvifico contro la frustrazione dello spettatore, ovvero quel male oscuro e spesso trascurato che proviene dalla per contro celebratissima “crisi del teatro” o della politica culturale nel nostro sistema Paese.
La compagnia Stalker di Torino dà prova di un linguaggio artistico compiuto, costruito lungo un quarantennio di attività condotta lungo direttrici ampie, dai campi dell’animazione teatrale a quelli dell’arte visuale (su tutte, la collaborazione con Michelangelo Pistoletto).
In “Drama Sound City” la traccia di questa crasi si può in effetti scorgere in maniera leggibile: il lavoro rinuncia in partenza ad ogni strutturazione narrativa o drammaturgica, rimanendo fedele ai canoni asciutti della performance. La parola subentra come segno tra i segni, per addensare un arcipelago di isole verbali, sotto la forma di una traccia registrata che accompagna con toni ora vellutati ora visionari gli snodi dell’azione, alla maniera di una didascalia evocativa più che esplicativa. È l’azione infatti ad assumere connotati drammaturgici, sempre però intesa come strumento di immagini dinamiche ed autonome, capaci di assumere entro di sé l’intera gamma del significato, proprio come avviene nell’arte visuale. In questa intelaiatura di linguaggi e ruoli redistribuiti, la musica rifugge dalla funzione dell’accompagnamento per farsi azione e performance essa stessa: sul fondale trova posto una postazione tecnica, dalla quale viene eseguito al momento un concerto di sonorità elettroniche, a cui è inoltre demandato il compito di predisporre sensorialmente il tema complessivo: la città contemporanea, con particolare focalizzazione sul topos della periferia.
In scena, i tre performer si muovono con precisione tattica, ma principalmente operano ad animare i materiali che figurano inizialmente come scenari fissi, rivelandone le imprevedibili evoluzioni versatili. Poi con fantasia illusionistica da nouveau cirque, si attinge a materiali aggiuntivi collocati fuori scena, dove scompaiono nuovamente con estrema pulizia d’azione dopo aver dato vita a quadri di spettacolarità diafana eppure estrema.
Un disegno luci rigoroso e dinamico ritaglia i diversi quadri performativi secondo una sapienza eminentemente teatrale. Non manca infatti, in questa prova di perfezione tecnicale, il lampo dell’infrazione, giocata in termini più genuinamente scenici ed attorici, ad affrescare in un numero di trasformismo brillante l’immagine di una città babelica, crogiolo di colori e diversità contraddittorie, pur visitata con l’occhio puro del flaneur, lasciando chiuso o soltanto socchiuso lo sguardo della denuncia sociale. Ottimo.
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DRAMA SOUND CITY
di Stalker Teatro (Torino)
con Elena Pisu, Dario Prazzoli, Stefano Bosco
progetto e regia: Gabriele Boccacini
musiche originali: OZmotic (Stanislao Lesnoj e SmZ ), eseguite in scena da Smz
disegno luci: Andrea Sancio Sangiorgi
Florian MetaTeatro, Stagione 2016-17 “Teatro d’autore e altri linguaggi / Performing art and electro sound”
in collaborazione con Deposito dei Segni