“Gli uomini, dopo aver ricacciati nell’inferno dolori e supplizi, non trovarono che restasse, per il cielo, niente all’infuori della noia”.
Credo si possa riassumere in questa frase di Arthur Schopenhauer il Don Giovanni (re)interpretato da Robert Carsen per La Scala. Un mito che ha attraversato i secoli e toccato la mente di decine di artisti, intellettuali, lettori e spettatori, e che, ancora oggi, dopo tre secoli, risulta così incredibilmente contemporaneo.
I “dolori e i supplizi” sono in questo caso rappresentati dal desiderio, sessuale ma non solo, che Don Giovanni asseconda, rompendo tutte le convenzioni sociali, fino al punto in cui diventa mito. L’incarnazione dell’uomo che coglie solo i frutti più maturi e succosi dal giardino dell’esistenza, vivendo un’anarchia che è funzionale unicamente al desiderio e che non lascia certo spazio alla noia.
Il libertino. Quello che, in fondo, ognuno di noi vorrebbe essere ma non osa diventare.
Ed è proprio così che ce lo mostra il regista durante l’ouverture, di spalle, attraverso un enorme specchio che ondula deformando l’immagine. Un riflesso che non è persona, ma piuttosto essenza vacua e presente allo stesso tempo, e che, quindi, potrebbe essere chiunque sieda in platea, nei palchi o nel loggione.
Un uomo senza regole, che rompe gli schemi sociali assecondando solo il desiderio.
Così come, bisogna dirlo, il regista non ha seguito alcuna regola dettata dal libretto. Ma è riuscito a cogliere il senso profondo dell’opera e a riadattarlo con un’idea incredibilmente moderna, fresca, a tratti divertente, eppure così profonda.
Bisogna dire che Carsen è forse uno dei pochi registi che riescono nell’intento di “modernizzare” l’opera, pur creando qualcosa che mantenga un senso compiuto dall’inizio alla fine, senza creare forzature ma seguendo un’idea coerente con il libretto e soprattutto con la musica.
Così, questo Don Giovanni che diventa feticcio del pubblico e si muove all’interno di un teatro riprodotto sul palco nelle scene di Michael Levine, pur discostandosi dalla rappresentazione letterale del libretto di Da Ponte, ne mantiene la forma sostanziale ed estetica, senza risultare mai forzoso, ma piuttosto metaforicamente immaginifico.
Lo spettatore diventa quindi libertino e il libertino diventa spettatore, mentre gli altri protagonisti della vicenda restano definiti da un vincolo psicologico che li ingabbia nel loro ruolo subalterno (perfettamente disegnato anche grazie ai costumi di Brigitte Reiffenstuel). Senza perdere la forza espressiva dello spartito ma anzi, rinforzandola in un senso contemporaneo, che presenta le note di Mozart in tutta la sconvolgente modernità che possiedono.
Insomma, ha fatto bene il teatro a riprendere questa produzione del 2011, che dovrebbe essere vista non solo da chi ama il melodramma, ma anche (e soprattutto), da chi non lo conosce. Perché Carsen ha saputo immaginare un’opera leggera e allo stesso tempo profonda, esattamente come la musica di Mozart, infondendovi anche un gusto contemporaneo eppure raffinato.
Qualche nota negativa è arrivata dalla buca, dove un’orchestra che non ci è sembrata al massimo della sua forma, ha seguito il maestro Paavo Järvi in una concertazione non certo memorabile, a partire da un’ouverture non del tutto carica della sua forza drammatica, fino ad un’equilibrio spesso precario tra le diverse sezioni, da un lato, e tra il palco e l’orchestra, dall’altro, con qualche tempo forse troppo frettoloso.
Thomas Hampson è stato un Don Giovanni perfetto per il fisic du role e per l’enfasi infusa al personaggio, meno, purtroppo, per l’aspetto vocale che sembra un po’ sbiadito: fatica a volte con i fiati, soprattutto nei passaggi più difficili e nel complesso mostra qualche difficoltà, compensata però da una presenza scenica impeccabile e coinvolgente.
Sorprendente invece il Leporello di Luca Pisaroni, che riesce ad interpretare il personaggio in tutte le sue sfumature comiche, patetiche e drammatiche, con un’interpretazione perfetta in tutti i sensi, un timbro interessante e una voce sempre egregiamente modulata, anche nei sillabati ineccepibili.
Brave anche le protagoniste femminili: Hanna Elisabeth Müller è una Donna Anna modernamente antica, con un timbro morbido ma possente e un cantato preciso e godibile; Anett Fritsch è una Donna Elvira ricca di pathos e di quel fare patetico e iroso dell’innamorata respinta, ha un bel timbro e una tecnica ineccepibile; Giulia Semenzato è una Zerlina perfettamente calata nel ruolo e dal timbro delicato, rispetto alle colleghe però pecca in potenza (lo si nota soprattutto, ovviamente, nei duetti e nelle parti di insieme), ciononostante la sua La ci darem la mano è stata magnificamente interpretata.
Bernard Richter è un Don Ottavio damerino e pavido, ma dal timbro morbido e apprezzabile in tutte le sue sfumature. Così Come Mattia Olivieri, che sembra più un ragazzo “tamarro” dalla voce possente, forse ancora un po’ grezzo, ma interessante. Infine Tomasz Konieczny è stato un commendatore perfetto nella presenza imponente ma eterea, con una potenza vocale invidiabile.
A fine spettacolo applausi sonori per tutti, da un teatro gremito ed entusiasta, in particolare per Hampson, Pisaroni e Müller.
La recensione si riferisce alla recita di venerdì 19 maggio 2017.
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Don Giovanni
Dramma giocoso in due atti
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Libretto di Lorenzo Da Ponte
Produzione Teatro alla Scala
Direttore: Paavo Järvi
Regia: Robert Carsen
Scene: Michael Levine
Costumi: Brigitte Reiffenstuel
Luci: Robert Carsen e Peter Van Praet
Coreografia: Philippe Giraudeau
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Cast
Don Giovanni: Thomas Hampson
Commendatore: Tomasz Konieczny
Don Ottavio: Bernard Richter
Donna Anna: Hanna Elisabeth Müller
Donna Elvira: Anett Fritsch
Leporello: Luca Pisaroni
Zerlina: Giulia Semenzato
Masetto: Mattia Olivieri