Lunghi applausi al Teatro Gobetti di Torino per la riproposizione del Galois, storia di un genio sfortunato e avvilito dei primi dell’Ottocento. Applausi indirizzati alla semplice e geniale scenografia di Eleonora Rossi, impreziosita dall’eccellente illuminazione orchestrata da Daniele Ciprì e dalle musiche di Angelo Vitaliano; alla duplice fatica dell’interprete Fabrizio Falco, anche in veste di regista; non ultimi, applausi al difficile testo che lo scrittore Paolo Giordano ha portato in teatro, dopo aver ricevuto con il Premio Strega il giusto riconoscimento per il romanzo La solitudine dei numeri primi.
Proseguendo nel suo lavoro al confine tra segno numerico e segno verbale, Giordano si è gettato nella difficile drammaturgia tratta dalla memoria di un personaggio storico come Évariste Galois, il matematico che ha firmato l’omonima teoria, convinto sostenitore dei principi repubblicani.
Dal testo di Giordano si evince una personale propensione del personaggio al romanticismo imperante del periodo in cui visse, contraddistinta dalla sua ossessione per la matematica. Il rapporto di Galois con la disciplina si mostra problematico fin dall’ingresso in sala: la lunga pavimentazione irregolare che percorre obliquamente il palcoscenico porta lo sguardo degli astanti allo scrittoio, svettante sulla sommità e leggermente inclinato verso le quinte. Un Galois immerso nei suoi calcoli, alla luce di una candela, non si lascia distrarre dai mormorii del pubblico che prende posto in platea, né la comparsa di Auguste, che sancisce il lento inizio dello spettacolo, sembra distogliere la sua attenzione dal foglio.
Auguste, unico altro personaggio sul palco, è tuttavia una presenza immobile e silenziosa che sembra ricoprire il significativo ruolo dell’angelo annunciatore di morte per Galois, convinto che la propria morte avverrà a breve.
A tratti, sul pavimento obliquo che separa il soliloquio del protagonista dallo sguardo di quello che sembra essere sempre più soltanto il fantasma del suo interlocutore appaiono numeri e formule, i simboli dell’ossessione e dell’ostinazione di un uomo che ammette di riuscire a trovare solo nell’astrazione matematica il sollievo a una vita di insuccessi in amore e in politica, al suo fallimento come matematico.
Totalmente immerso nel personaggio, Fabrizio Falco abbandona la fissità iniziale percorrendo avanti e indietro il pavimento discontinuo, espressione scenica della sua delirante ostinazione per la formula a cui sta lavorando, di cui non riuscirà a vivere abbastanza per vedere l’applicazione; la sua confessione è colorata dei dolori che hanno segnato la breve vita di Galois, portando alla sua ammissione di vigliaccheria per non ritenersi in grado di espiare le sue sofferenze con il suicidio e lasciare a mani sconosciute, il duellante con cui deve confrontarsi a causa di un banale diverbio, l’onere di togliergli la vita.
Paolo Giordano imbastisce la tragedia personale del ventunenne Galois dichiarandone il destino fin dal principio. Coerentemente con le sue ferme convinzioni politiche, il protagonista si abbandona al sollievo definitivo per le frustrazioni che racconta e confessa all’amico Auguste, ripercorrendo il trascorso storico che ne ha sancito il violento epilogo.
La vicenda tracciata dallo scrittore segue quella stessa traiettoria ferma e ostinata che ha tracciato il vissuto del matematico, narrata abilmente applicando il filtro dell’astrazione, del simbolo che restituisce un significato più profondo alla vita di quanto possano fare parole e numeri.
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Galois
di Paolo Giordano
interpretazione e regia Fabrizio Falco
aiuto regia Maurizio Spicuzza
con Francesco Marino
scenografia di Eleonora Rossi
costumi di Gianluca Sbicca
tecnico luci Daniele Ciprì
musiche di Angelo Vitaliano
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
in collaborazione con Minimo Comune Teatro e Officina Einaudi