Scritto da Giovanni Testori e diretto da Valter Malosti, L’Arialda si presenta come il dramma personale della protagonista, Arialda Repossi (Beatrice Vecchione), allargandone però il punto di vista agli occhi di tutti i numerosi personaggi e interpreti: la vicenda, terzo atto del ciclo I segreti di Milano di Testori, si sviluppa intorno alla catena di relazioni che lega la famiglia milanese dei Candidezza (Vittorio Camarota, Matteo Baiardi, Christian di Filippo) alle “immigrate” meridionali Gaetana Molise (Gloria Restuccia) e la figlia Rosangela Carimati (Roberta Lanave).
Una narrazione corale che vede la partecipazione degli allievi della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino, stagliandosi sullo sfondo di una Milano che cede volentieri il ruolo di scenario a qualunque altra città del nord-Italia che a partire dagli anni del dopoguerra ha visto mettere in scena il dramma, autentico e reale, dell’immigrazione dal Meridione. La mancanza di un vero e proprio “scenario”, nella messa in scena minimalista e onirica di Malosti, viene sapientemente sopperita da un allestimento “leggero” che nega qualunque riferimento puntuale al contesto cittadino.
L’Arialda è a tutti gli effetti un dramma sulle relazioni umane, un dramma che mette in mostra le conseguenze di volontà, desideri e azioni individuali sui destini degli altri. La prospettiva dello sguardo di una milanese come l’Arialda, “padrona di casa” che si trova a disputare la promessa di matrimonio di Amilcare Candidezza con la “meridionale” Gaetana Molise, denuncia quindi un campanilismo che si esprime come un pretesto per difendere il proprio diritto di donna, moglie e madre, nel contesto mutevole di un cambio d’epoca.
In scena non vengono rappresentate le vicissitudini, quanto le relazioni dei personaggi, quei nodi indissolubili che legano Arialda al marito defunto (nelle parvenze vivide del fantasma interpretato da Andrea Triaca), speculari a quelli che legano irrimediabilmente il vedovo Candidezza alla defunta moglie (Noemi Grasso).
La presenza viva dei fantasmi del passato è facilmente interpretabile come il simbolo di un’epoca che sta finendo, quella dell’Italia rurale stravolta dalla nascente economia industriale degli anni ’50/’60. Con Milano, città che fa da sfondo silente allo spettacolo, i fantasmi sono tre: simili vuoti sono l’espediente narrativo di cui Testori si serve per rappresentare il conflitto generazionale tra genitori e figli, evidenziando la rottura della normalità portando in scena personaggi estranei, quegli immigrati nelle città del nord che, loro malgrado, si sono fatti portavoce di tale cambiamento storico e generazionale.
La maggior parte dei personaggi vive il palcoscenico senza infatti appartenervi, dichiarando la propria diversa provenienza in maniera esplicita. Soltanto Arialda, nel tentativo di abbandonare il passato e scacciarne i fantasmi, si sforza di rivendicare la legittima “proprietà” del suo ambiente, il palcoscenico. Ma ogni suo intento è destinato a fallire, poiché nella catena di relazioni pensata da Testori e rappresentata da Malosti la protagonista è il vero anello debole, l’unico che non riesce ad attutire la tensione che si propaga lungo la catena.
Dopo gli applausi finali, i dodici interpreti ritornano in scena per deliziare il pubblico con un coro a cappella: la canzone in dialetto milanese è un omaggio alla città che, come molte altre, è stata scenario di quello sconvolgimento storico e generazionale cui Testori dedicò la sua opera.
———
L’Arialda
di Giovanni Testori
regia Valter Malosti
aiuto regia Elena serra
con Matteo Baiardi, Vittorio Camarota, Christian di Filippo, Roberta Lanave, Camilla Nigro, Gloria Restuccia, Marcello Spinetta, Jacopo Squizzato, Beatrice Vecchione
e con gli allievi della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino Riccardo Niceforo, Noemi Grasso, Andrea Triaca
tecnico luci Francesco Dell’Elba
musiche di Bruno De Franceschi